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Franco Forte: un Sogno, una Certezza e il Successo
Scrittore, traduttore, giornalista e sceneggiatore di successo, nonché consulente editoriale, Franco Forte è anche uno dei pochi autori di vaglia a occuparsi di scrittura creativa e di autori emergenti ed esordienti. Abbiamo pensato dunque di conoscerlo meglio e chiedergli qualche informazione che possa tornare utile a tutte le nostre lettrici che desiderano cimentarsi nell’arte della scrittura. Ricordiamo che Franco Forte è anche il direttore della rivista Writers Magazine Italia edita da Delos Books, che è estremamente riduttivo definire rivista letteraria, visto che in realtà oltre a pubblicare racconti e interviste, è un vero ausilio per chi della scrittura vuole farne qualcosa di più che un piacevole hobby.
Il suo sito: www.franco-forte.it
Franco Forte risponderà alle vostre domande e offrirà in omaggio una copia con dedica de I Bastioni del Coraggio ad una fortunata vincitrice che verrà sorteggiata tra tutte le lettrici che lasceranno un commento. Quindi non dimenticatevi di firmarvi con un nome o con un nick
• Benvenuto Franco Forte, è un piacere averla come nostro ospite. E’ uscito da poco in libreria il suo ultimo romanzo, l’intenso I bastioni del coraggio, una storia d’amore, vendetta e riscatto ambientata nella metà del sedicesimo secolo in una Milano flagellata dalla peste e dall’Inquisizione. Se dovesse consigliarlo alle nostre lettrici, molte delle quali amano il romanzo storico, su quali aspetti si soffermerebbe?
I Bastioni del Coraggio ha un punto di forza evidente, secondo me, ed è lo stesso che appassiona milioni di lettrici in tutto il mondo che amano il romance: personaggi veri, autentici, animati da passioni forti, le stesse che contraddistinguono la nostra vita. L’amore, quindi, ma anche l’odio, la passione, la voglia di emergere e di sopravvivere alle condizioni più brutali, oltre al coraggio di combattere per la propria dignità e il diritto a un riscatto dalle avversità della vita. Sto parlando di pulsioni primordiali, in definitiva, che ci accomunano tutti, ma che di rado mi capita di vedere sviscerate nei loro aspetti più tumultuosi nei romanzi contemporanei. Sentimenti ed emozioni che ritrovo molto più spesso nei tanto vituperati (dalla critica) romanzi romance, che nei prodotti da piani alti della classifica che non capisco per quale motivo la gente acquisti con tanta furia, e che di solito mi paiono freddi, distanti, plastificati e preconfezionati. Siamo sommersi da decine di romanzi inscatolati come il tonno, in cui le emozioni prevalenti sono tutte stucchevoli e stereotipate, e alla fine i libri che hanno più cuore, che mostrano più ardore, fra quelli che vedo nella classifica dei più venduti, sono quelli che parlano di cucina: lì, almeno, qualcosa di gustoso e di fragrante c’è, per quanto poi lo si dovrebbe anche cucinare! Insomma, con i Bastioni ho cercato di dare al pubblico non solo quello che si aspettavano da me, dopo gli altri miei romanzi storici, ma anche una vicenda corale ad ampio respiro, capace di appassionare il maggior numero possibile di lettori, parlando ai loro cuori con il cuore, più che con la testa. E quindi le vicissitudini del fiero e indomito Fulvio Alciati, capace di morire per salvare una perfetta sconosciuta dai soprusi dei potenti; la forte e determinata Mariangela Comencini, che non è disposta a lasciarsi piegare dall’inquisitore generale Guaraldo Giussani; la giovane, apparentemente indifesa Anita Polidori, che vede morire in modo orribile i genitori e resta sola al mondo, con un fratellino piccolo da accudire, ma la cui intelligenza, lo spirito d’iniziativa e una fede incrollabile nella Provvidenza, capace di venire in aiuto ai deboli che lo meritano, riusciranno a spingerla verso un’avventura difficile e coraggiosa, per la riconquista della felicità e del proprio riscatto personale. Il tutto sullo sfondo di un periodo storico per certi versi agghiacciate eppure pieno di fascino, in quella Milano di metà del 1500 che ha visto sfolgorare una stella di prima grandezza come Carlo Borromeo, che poi diventerà San Carlo. Questo è I Bastioni del Coraggio, primo volume di un’epopea che qualcuno, con mia grande gioia, ha accostato a I Pilastri della Terra di Ken Follett, ma che vuole raccontare della nostra gente, della forza delle persone che hanno costruito le nostre città e il nostro Paese, e a cui ancora tanto, almeno nelle più forti pulsioni di tutti i giorni, assomigliamo.
• Tra qualche mese sarà pubblicata la sua ultima opera Nerone, dove tornerà ad occuparsi dell’antica Roma dopo Carthago. L’impressione, leggendo quest’ultimo, è che la Storia con la S maiuscola, sempre incombente, sia anch’essa un personaggio effettivo della trama, mentre ne I bastioni del coraggio prevalga l’attenzione all’individuo e alla vita quotidiana. Insomma macrostoria da una parte e microstoria dall’altra. E’ d’accordo?
Carthago, Nerone e altri romanzi storici che ho scritto, si basavano su grandi figure della storia, condottieri, imperatori e generali che hanno combattuto per la propria gloria o per quella dei loro stati, e quindi lo sfondo dei miei romanzi si è intessuto profondamente con la loro vita, con le motivazioni delle loro azioni, con l’intimità stessa della loro esistenza. Ne I Bastioni del Coraggio i protagonisti non sono i grandi nomi della storia (lo stesso Carlo Borromeo è sullo sfondo, appena accennato in questo libro, per quanto nei successivi assurgerà a una posizione più preminente) bensì le persone di tutti i giorni, quello che avremmo potuto essere noi se avessimo avuto la sventura di nascere in quei tempi difficili. Così le loro storie d’amore, le passioni travolgenti che devono patire e subire, la lotta per la sopravvivenza, le sofferenze ma anche le grandi gioie derivate dalle piccole conquiste quotidiane, sono tutti elementi che ci appartengono da vicino, che raccontano anche la nostra storia, solo che lo fanno sullo sfondo di una ricostruzione ambientale rigorosa e il più possibile verosimile ai lasciti storici, come mio costume. Quindi sì, direi che la differenza è sostanzialmente questa: le macrostorie sono quelle che hanno per protagonisti i “VIP” dei libri di storia; le microstorie come i Bastioni sono quelle che coinvolgono gli emeriti sconosciuti che hanno però dato vita al nostro passato, e ci hanno consentito di essere qui oggi, combattendo ogni giorno per se stessi ma anche per le generazioni future.
• Sappiamo che la sua formazione è avvenuta nel tempo, e che è cresciuta insieme alla conoscenza non solo della scrittura in sé, ma anche di tutte quelle tematiche editoriali che purtroppo vengono ignorate dalla maggior parte delle nuove generazioni di autori. Ci può raccontare qualcosa del suo percorso formativo? E cosa consiglierebbe ai giovani che desiderano proporre i loro lavori a una casa editrice?
Per diventare scrittori bisogna avere una consapevolezza: che la strada è lunga e difficile, e che si può arrivare a ottenere qualche risultato solo se si hanno pazienza, determinazione e due doti indispensabili: costanza e umiltà. Chi vuole ottenere tutto subito e pensa di essere già capace di conquistare le folle con le sue prime opere, o è un genio o è un illuso. Essere consapevoli delle proprie capacità, dei propri limiti e dei propri punti di forza, con obiettività e un bel po’ di modestia, è il modo migliore per rimboccarsi le maniche e cominciare a lavorare seriamente su quello che per molti è un sogno: diventare scrittori e vivere di questa professione. Ma senza il lavoro, lo studio, la fatica e la dedizione, difficilmente si arriva da qualche parte.
Basti dire che la scrittura, per me, è sempre stata un’ossessione, e quando si insegue un’ossessione si combatte senza temere per le conseguenze. E’ così che, proprio l’anno in cui ho pubblicato il mio romanzo d’esordio, Gli eretici di Zlatos (Editrice Nord), mi sono licenziato da un ambitissimo posto di direttore tecnico presso una grande azienda, e non ho mai avuto alcun rimpianto per questo.
Del resto, la scrittura (insieme alla lettura) è tutto, per me, fin da quando ero bambino. Non si tratta solo dell’esigenza di comunicare con il mondo che mi circonda, ma anche di dare sfogo all’universo multiforme di immagini, emozioni e pensieri che si agita dentro di me ogni volta che leggo un libro, che vedo un film o una serie TV. Il mio cervello è una continua fucina di idee, e si interroga senza sosta per capire se una tale storia avrebbe potuto essere scritta in un certo modo piuttosto che in un altro, se una tale scena di un film poteva essere realizzata per trasmettere emozioni diverse e così via. Una continua “critica” (a fini positivi e propedeutici per il sottoscritto) a quello che producono gli altri, che mi porta a esprimermi in autonomia, per dare vita a quello che avrei voluto leggere o guardare al cinema o alla TV.
Tutto questo è diventato una professione quando ho capito che il lavoro per cui avevo studiato e per cui avevo iniziato una carriera, non era in grado di darmi le soddisfazioni che desideravo. Così, come detto, ho piantato tutto e mi sono messo a fare il giornalista freelance per vari quotidiani locali, a 12mila lire lorde al pezzo. Mio padre è sopravvissuto a stento al colpo, ma per fortuna è una persona in gamba e presto ha capito che non sarei durato molto con giacca e cravatta, e adesso si gode la soddisfazione di vedere realizzato il sogno di suo figlio: non per niente è il mio primo e più severo lettore!
Ma per arrivare a questi risultati, la strada non è stata lastricata soltanto di romanticismo, anzi. C’è stato tanto lavoro, tanta dedizione, tanto studio. Perché se è vero che il talento aiuta, anche il più talentuoso degli scrittori, se non conosce un minimo le tecniche della narrativa, difficilmente riesce a mettersi in luce. E’ questo che cerco di fare capire agli esordienti: non pensate che sia facile arrivare a pubblicare. Bisogna saper soffrire, prima, e anche parecchio. Ma se ci si crede e si è disposti a darsi da fare, allora prima o poi le soddisfazioni arriveranno. Parola di chi a suo tempo ha messo in gioco tutto, su questa convinzione…
• Perché il romanzo storico e non il contemporaneo? Quali sono gli ingredienti che determinano il successo di un genere che non conosce declino?
Il mio è stato un percorso durato anni, prima di arrivare allo storico. Gli eretici di Zlatos, il mio romanzo d’esordio, era un libro di fantascienza, ma in realtà già conteneva un germoglio di quella narrativa storico-epica che poi ho sfruttato a piene mani con La Compagnia della Morte, Carthago e I Bastioni del Coraggio. Ho poi proseguito toccando il thriller e il noir e poi il romanzo storico, con la biografia romanzata di Gengis Khan, passando anche per la spy story, grazie a romanzi come Operazione Copernico, che mi è valso l’acquisizione da parte di Dino De Laurentiis dei diritti di sfruttamento cinematografico. Lo storico, in definitiva, è il genere che più amo, e in cui mi muovo con disinvoltura, pur rendendomi conto che è in assoluto il più difficile da scrivere. E fino a quando continuerà a darmi soddisfazioni, non lo abbandonerò di certo.
Gengis Khan e La compagnia della morte, per esempio, sono la trasformazione in romanzi di passioni che ho coltivano fin da ragazzo: il guerriero mongolo perché sono sempre stato affascinato da questo imperatore che ha conquistato il più grande regno della storia, e Alberto da Giussano, il Carroccio e la battaglia di Legnano perché sono luoghi, date e argomenti che hanno accompagnato la mia gioventù, avendo una madre nata da quelle parti e avendo avuto il mito della battaglia di Legnano come esempio della lotta di un popolo per la libertà. E questo ho voluto fare con i miei romanzi: parlare di un’epoca, di personaggi e di avvenimenti nel loro contesto storico, senza grezzi richiami alla politica d’oggi, anzi, con la speranza che questi avvenimenti importanti potessero trovare dignità propria e tutto il loro pieno valore proprio al di là dei simboli della politica moderna. E questo, in definitiva, credo sia il motivo per cui il romanzo storico non conosce declino. Non è solo l’avventura del nostro passato, del nostro retaggio primevo, ma anche delle persone le cui passioni ed emozioni hanno contribuito a creare il mondo che conosciamo oggi.
• In Italia gli scrittori sono fortemente individualisti e fanno ben poco “squadra”, lei è uno dei pochi che non solo ha fondato una rivista letteraria per i giovani autori e gli aspiranti tali , la Writers Magazine Italia, ma li aiuta concretamente con un servizio di editing e corsi professionali di scrittura. Come mai questa scelta controcorrente? Coraggio o incoscienza?
Il fatto è che io non sono solo uno scrittore, sono anche un editore, e quindi ho bisogno di buoni autori da pubblicare, per le riviste che dirigo, per le antologie che curo, per le collane editoriali che hanno bisogno di essere alimentate costantemente. Per di più, io sono uno di quegli editori che crede più nella narrativa nostrana, che in quella straniera tradotta, e quindi sono sempre a caccia di talenti da pubblicare. Ma so anche, per esperienza diretta, a volte il talento non basta. Molti bravi scrittori sono letteralmente sepolti sotto la mancanza di qualsiasi conoscenza delle principali tecniche di scrittura (per non parlare dei principi basilari della grammatica e della sintassi), e spesso, effettuando degli editing mirati per togliere tutti i calcinacci e la polvere inutili, vengono alla luce opere molto interessanti, che gli stessi autori faticavano a riconoscere, o di cui non avevano una piena consapevolezza. Il mio lavoro, quindi, e tutto il progetto della WMI e della mia casa editrice, è volto proprio a questo: dare agli autori gli strumenti necessari per capire se, scavando, c’è qualcosa di buono sotto il terreno incolto delle loro pulsioni letterarie. E se lo trovo, non me lo faccio certo sfuggire.
• In un paese come l’Italia pieno di scrittori ma povero, a paragone, di lettori, ha ancora senso tentare professionalmente la strada della scrittura?
Certo che ce l’ha, se uno scrittore sente che non può fare a meno di questa ossessione. Io non potrei restare senza, e quindi è giusto che, nonostante le ristrettezze di mercato, cerchi continuamente una via per stare a galla, per farmi apprezzare almeno un pochino da una manciata di lettori e ricevere l’immensa soddisfazione che si prova quando qualcuno, dopo averti letto, ti dice che si è appassionato seguendo le avventure dei tuoi personaggi. Nessuna gratificazione vale quanto questa.
• La scrittura di genere: c’è ancora posto nei vari settori per chi abbraccia questo campo? E come riuscire a rientrare nei canoni? Quali sono i punti che ogni autore di genere dovrebbe avere ben chiari?
La scrittura di genere, oggi, è il vero motore dell’industria libraria. Senza il thriller, il fantasy, l’horror, e soprattutto il romance (diciamolo a chiare lettere), il mercato sarebbe così povero e risicato che l’intera industria editoriale crollerebbe. Qualcuno ha detto che in Italia non si mangia con la cultura. Be’, io dico che l’editoria in genere non mangia con la grande letteratura. Perché tutto funzioni occorre che ci siano scrittori in grado di produrre opere che appassionino i lettori, e le classifiche dei bestseller parlano chiaro, specificando quali sono i gusti di questi lettori: a parte qualche raro caso, è la narrativa di genere che domina incontrastata. Figurarsi cosa succederebbe se i numeri di vendita del romance, in Italia relegato soprattutto alle edicole, e quindi non conteggiato per le classifiche dei libri più letti, entrasse di diritto (come meriterebbe) in questo meccanismo. Avremmo un buon 90% di libri venduti che parlerebbe solo con la lingua graffiante e moderna della letteratura di genere.
• Sappiamo che in passato lei ha scritto del “rosa" con uno pseudonimo femminile. Il sentimento romantico nel romanzo storico, chiamiamolo pure romance, viene mal visto dall’editoria italiana e da tutta una schiera di lettori/lettrici che lo considerano con disprezzo. Eppure, a conti fatti, è il genere più venduto al mondo, ed anche in Italia ogni mese vengono proposti romance che hanno una tiratura pari a decine di migliaia di copie. Quando un romanzo che esce rilegato in libreria viene definito un grande successo se raggiunge le 5000 copie. Come mai, secondo lei, questi pregiudizi così forti perdurano e soprattutto, dopo aver sdoganato il noir e il thriller, una volta vittime anch’essi di forti pregiudizi, sarà finalmente possibile sdoganare il romance?
Come ho già accennato, il genere si è ormai abbastanza sdoganato, soprattutto perché i lettori acquistano ciò che gli piace leggere, ignorando certa critica paludata che continua a incensare se stessa, però non tutti i sottogeneri sono riusciti a ottenere pari dignità. Il thriller ce l’ha fatta, il fantasy e l’horror anche, mentre la fantascienza, e il romance, vengono ancora considerati dei ghetti, i famosi ghetti di serie B. Ma se è vero che la fantascienza vende pochissimo, e quindi tutto sommato se ne frega del giudizio della critica e sopravvive nella sua ristretta cerchia di appassionati, il romance (quello che ai miei tempi si chiamava “romanzo rosa”) patisce soprattutto una discriminazione: quella dell’edicola. Essendo un prodotto che si propone al pubblico quasi esclusivamente attraverso il mercato dell’edicola, non può contare sul respiro che la libreria concede alle singole opere e ai loro autori, e quindi è visto più che altro come una successione interminabile di romanzi dalla vita breve e (nella percezione generale) di livello mediocre, senza che ci sia la possibilità di soffermarsi sui grandi pregi di molte di queste opere. E’ la brevità di esistenza dei singoli libri, secondo me determina l’impressione di un genere letterario omogeneizzato e pressoché sempre identico a se stesso, con romanzi-fotocopia che replicano all’infinito sempre i soliti cliché. Naturalmente non è così, e le tante lettrici che seguono il romance lo sanno bene, ma non è facile farlo capire al di fuori del mondo degli appassionati. D’altra parte, lo sbarco in libreria comporta rischi altissimi, soprattutto nel nostro Paese, e quindi è un’operazione che gli editori sono riluttanti a compiere. E posso capirli, perché adesso il mercato regge ed è altamente remunerativo, senza i rischi di un’avventura che potrebbe dimostrarsi più impegnativa del previsto. Il che, purtroppo, genera quell’immobilismo che non consente alle bravissime autrici di romance di farsi apprezzare come scrittrici a se stanti capaci di esprimere ognuna un mondo di storie e di personaggi, di emozioni e di vicende, capaci di coinvolgere il pubblico.
• Infine, cosa si sente di consigliare a chi vuole intraprendere la carriera di scrittore?
Un consiglio apparentemente banale, ma che ben pochi, alla fine, seguono, soprattutto fra i tanti che scrivono. Leggere. Leggere quanto più possibile e di tutto, non solo del proprio genere preferito. E restare informati su ciò che viene pubblicato, su quali sono le tendenze del momento, gli autori di punta, i fenomeni da seguire e da “studiare”. Leggere è la migliore palestra e scuola di scrittura per qualsiasi autore. Lo so ben io che non smetto un attimo di affiancare alla mia vasta attività di autore quella altrettanto imponente e approfondita di lettore. Il che mi serve a crescere
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