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Miriam Formenti: Un Grande Ritorno Made in Italy
Due soli romanzi pubblicati quasi vent’anni fa, sono bastati a Miriam Formenti per aggiudicarsi un posto tra le autrici italiane di romance più significative. Di lei nonostante gli anni in cui ha deciso di sospendere la scrittura di questo genere, è rimasto un ricordo indelebile legato ai suoi: Un uomo da odiare e Capelli di Luna.
Dopo questo lungo periodo in cui l’autrice si è dedicata a scrivere racconti e romanzi per alcune note riviste femminili, torna con un nuovo romance, Isabella per sempre. Abbiamo chiesto a Miriam di raccontarci qualcosa di lei, del suo romanzo e della sua decisione di riprendere la scrittura del nostro genere letterario preferito.
Miriam Formenti risponderà alle vostre domande e darà in regalo due copie autografate di Isabella per sempre a due fortunate lettrici sorteggiate tra tutte coloro che interverranno. Quindi non dimenticate di firmarvi, con un nome o un nick per farvi riconoscere!
1- Cara Miriam, grazie di aver accettato il nostro invito. Siamo molto felici di rileggerti, e siamo anche curiose di sapere cosa pensi del romance dopo oltre un ventennio in cui hai deciso di dedicarti a un altro genere. Secondo te ci sono stati dei cambiamenti significativi da allora nel panorama romantico? Pensi che le lettrici abbiano cambiato gusti e tendenze?
E’ certamente sempre molto avvincente e le iniziative delle case editrici, mi sembra con buoni risultati, fanno comprendere che valeva la pena investire sul genere. Pensate che nell’89, quando ho pubblicato Capelli di luna, Mondadori programmava solo due uscite al mese e mi pare, ma potrei sbagliarmi, che i romanzi Harlequin non fossero ancora sul mercato italiano. Ora ogni mese, parlando sempre di storico, troviamo almeno una ventina di pubblicazioni e le lettrici possono scegliere, poiché, s’intende, non possono acquistare proprio tutto. Aggiungo che rispetto a tanti anni fa i romanzi sono tutti più… ‘caldi’, anche i regency, che allora erano quasi casti. Le lettrici con gli anni si sono certamente più aperte, tuttavia credo che amore, passione e avventura siano sempre nei loro desideri.
2- Isabella per sempre, un titolo particolare, d’impatto. Come l’hai scelto? Ma chi è Isabella?
Questo titolo è nato da una frase scritta nel secondo capitolo, durante la prima stesura. Ricordo di averlo riportato a grandi caratteri sul quaderno degli appunti che tengo sulla scrivania, e di averlo riletto molte volte. Infine ho deciso che per quanto mi riguardava sarebbe stato quello. Ero felicissima, fra l’altro, perché per esperienza so che se un titolo non arriva spontaneo, ci si può perdere nel banale o… nell’improponibile.
La mia Isabella è una ragazza di nobile estrazione, che ha perso i genitori in una faida quando aveva soltanto sette anni. E’ stata accolta dalla sua madrina, una nobildonna decaduta ormai priva di mezzi, e in una tenuta che a poco a poco andava in rovina è cresciuta semplicemente. Non ha sogni, sa che l’aspetta un vita piatta poiché sente di avere dei doveri; ma quando arriva l’amore lo accoglie incredula, ma con passione. E’ di carattere, ma è anche rassegnata. Odia l’inganno, e per assurdo è costretta a ingannare per sopravvivere in un mondo duro per una donna, dove gli uomini fanno tutto quello che vogliono. E’ obiettiva e ammette i suoi sbagli ma spera sempre, per se e per il suo amore.
Isabella è vera, ma è anche un inganno.
3- Dove hai deciso di ambientare il tuo romanzo, e perché?
Ho scelto Mantova senza in realtà averla mai vista prima, e solo dopo aver fatto delle ricerche per trovare una battaglia interessante in Lombardia nell’alto Medioevo, il periodo storico che inizialmente avevo scelto. E Mantova è rimasta anche dopo aver preso la decisione che il romanzo si sarebbe svolto nel Rinascimento. Scovare una guerra alla fine del XV, dopotutto, non è stato difficile. Aggiungo che per potermi meglio immedesimare nel romanzo ho visitato la città, e ne sono rimasta affascinata poiché è un vero gioiello.
4- Andrea Castigli… si tratta di un personaggio fittizio o ti sei ispirata a qualcuno realmente esistito? Che tipo di eroe è Andrea? In cosa si discosta dai precedenti protagonisti dei tuoi romanzi?
Andrea Castigli ho preferito inventarmelo, immaginando viso, corpo… carattere. Andrea è un uomo che si può considerare felice dal momento che ha tutto, compresi fascino e ricchezza. Non ha l’amore, tuttavia questo sentimento non gli manca e non lo cerca, ma lo riconosce quasi subito quando se lo trova davanti. Ha anche un buon carattere e sa ridere; ma è anche un uomo che non accetta rifiuti. E’ sfrontato, impudente, e mentre la storia prosegue, lui si rivela estremamente orgoglioso, incapace di perdonare. Riflettendoci mi domando se non ho creato un altro Francesco, o un altro Stephan, perché l’idea che ho io di uomo di quei tempi, con potere e denaro, è ben definita: forti, coraggiosi e non certo indecisi. Tuttavia, a differenza del protagonista di Capelli di Luna, Andrea non porta nell’età adulta grandi sofferenze, e di certo possiede una cultura diversa rispetto al conquistatore svevo di Un uomo da Odiare, che era un po’ più selvaggio. Lui è cresciuto nel Rinascimento, vive la sua vita in città o nella sua tenuta sul lago, quando non ha incarichi per il signore di Mantova. Insomma, non ha castelli da conquistare o da difendere, anche se resta un soldato che combatte per la sua città, in questo caso contro gli odiati francesi.
5-Scrivere vicende di vita, dunque realistiche, molto diverse dalle ambientazioni del passato, ha condizionato la stesura di questo nuovo storico?
Direi di no. Quando lavoravo al romanzo sprofondavo in un mondo senza telefonini, auto , viaggi veloci, docce tiepide; e mi sono divertita molto a creare situazioni che nei contemporanei sarebbero impossibili.
6- Secondo te il romance segue determinati cliché che restano intramontabili nonostante il tempo, oppure devono essere reinventati sulla base delle nuove esigenze?
Forse sarò superata, ma credo che esista una traccia che si deve rispettare. Si può anche fare esperimenti, perché no, ma a parer mio il protagonista deve sempre avere fascino, forza e potere decisionale. La delicatezza maschile non sta ai romance come il vino rosso non sta alla torta. E poi dobbiamo sempre aggiungere un pizzico d’avventura, Il cattivo o la cattiva di turno, e sempre tanto amore e passione.
7-Hai mai pensato di scrivere una saga?
Ci avevo pensato parecchi anni fa: avevo immaginato il seguito di Un uomo da odiare; tuttavia era un’idea che avevo lasciato presto cadere. Più ci pensavo e meno riuscivo a immaginare i miei protagonisti invecchiati per lasciar posto ai loro figli. Quindi il mio pensiero è stato per moltissimo tempo: era niente sequel, niente saghe. Ora, però, sto riaccarezzando l’idea di riprendere fra le mani la storia dei Deinburg, magari cinquanta o sessant’anni dopo con i nipoti, così i protagonisti del mio primo romanzo resteranno giovani per sempre. Vedremo.
8-Durante la stesura del romanzo, hai avuto delle sorprese? Ci vuoi raccontare qualche curiosità?
Direi che la curiosità più significativa è stata quella di spostare i miei protagonisti dal 1350 circa al 1493. Cosa che in realtà ho già raccontato. Avevo infatti bisogno di una locanda di posta e di corrieri, e facendo ricerche avevo scoperto che nel medioevo la posta era un po’ lasciata al caso mentre era nata una certa organizzazione nel primo rinascimento. Io ne avevo assolutamente bisogno, dal momento che la mia protagonista veniva abbandonata in una locanda dagli uomini che dovevano farle da scorta, e lei doveva mandare un messaggio. In pratica, per una lettera la storia di Isabella e Andrea ha fatto un salto temporale di quasi 150 anni. Poi ho cambiato completamente il carattere della balia. Volevo creare una balia diversa; non tenera e affettuosa e così vigliacca da gettare, per salvarsi, ogni colpa sulla sua signora. Invece, a poco a poco, quasi senza rendermene conto, è diventata un’altra, molto migliore. La solita balia, si direbbe.
9-Quali sono i tuoi progetti per il futuro, anzi quali sono i tuoi obbiettivi ora che hai ricominciato a scrivere romanzi?
In quanto ai progetti, sto scrivendo un romanzo ambientato nella metà del diciottesimo secolo e sto cominciando a immaginare il racconto per l’antologia che verrà pubblicata il prossimo anno con Mondadori. Per il momento tutto quello che desidero e continuare a scrivere e pubblicare storico. Non penso ad altro.
Grazie di essere stata con noi Miriam. A presto.
Grazie anche a voi che mi avete ospitato e un abbraccio virtuale a tutte le lettrici,
ESTRATTO da ISABELLA PER SEMPRE
Parte prima
Giugno 1493
1
La giovane donna si svegliò all’improvviso, con la cupa sensazione che qualcosa di sgradevole stesse accadendo. Respirando rumorosamente, spalancò gli occhi frugando intorno a sé con sguardo inquieto, e grazie a un raggio di luna che filtrava attraverso l’alta finestrella e regalava a quello stambugio un opaco chiarore, poté dirsi certa che nessuno vi fosse penetrato.
Udì delle voci maschili provenire dal cortile e comprese che erano state queste, anche se attutite, a svegliarla. Tuttavia quel pensiero non la tranquillizzò, e con addosso un fastidioso presentimento girò intorno al giaciglio dove riposava la balia e si avvicino alla finestra, salendo sulla panchetta per poter meglio vedere.
Emise un’esclamazione incredula riconoscendo l’uomo smilzo, a fianco del suo robusto cavallo bardigiano, dare ordini a un altro che in quel momento usciva dalla stalla trascinando dietro di sé un mulo carico e un cavallo.
Non era possibile. Non stava accadendo davvero!
Senza pensare che aveva addosso soltanto la camicia e senza perdere tempo ad accendere la lanterna ad olio per farsi strada al buio, uscì di corsa dalla stanza. Scese lungo la ripida scala di legno che portava all’ingresso della locanda scivolando e aggrappandosi a forza al corrimano di corda, e dopo aver quasi inciampato in uno dei pellegrini che dormivano a terra, aprì la porta e uscì nel cortile.
- Giustra! – gridò.
Alfonso Giustra, un uomo di mezza età con la testa rasata e una barba sale e pepe lunga almeno venti centimetri, stava salendo a cavallo, ma si fermò e si voltò per aspettarla. Aveva sperato di andarsene in silenzio per non essere costretto a giustificarsi e a subire i piagnistei di quelle due donne; ma a quanto pareva non ci era riuscito.
- Ditemi - disse in tono ruvido quando Cecilia gli fu a un passo.
- Dove state andando?
L’uomo fece un ghigno che forse voleva essere un sorriso ironico, rivelando la mancanza degli incisivi superiori. – Sono sicuro che sapete che ho degli affari a La Spezia e che da lì dovrò prendere una nave che mi porterà alla contea di Nizza.
Cecilia Caldora serrò le labbra. Insulso ometto! Non poteva non sapere qual’era il vero significato della sua domanda, che stava bellamente aggirando.
– Lo so – replicò in tono impaziente. - Ma l’accordo era che ci avreste accompagnate a Mantova prima di occuparvi dei vostri interessi.
- Il nostro accordo era che accompagnassi la contessina Braschi a Mantova, non le sue serve.
Lei sussultò, ma non certo per il termine che l’uomo aveva usato. Non le importava che qualcuno la definisse una serva, perché a questo, probabilmente, sarebbe stata presto ridotta. Ma soltanto per ciò che quella condizione implicava: nessun rispetto o riguardo; soltanto indifferenza e forse disprezzo da parte di persone che si credevano superiori.
- Oh… perdonate, signora, voi non siete una serva. – disse Giustra subito dopo con un tono che rivelava, senz’ ombra di dubbio, quanto poco in realtà fosse pentito. Quella ragazza, era garantito, aveva nobili origini; si percepiva dai suoi modi, e anche dal suo eloquio. Ma restava una donna al seguito della defunta contessina, e per lui non aveva grande importanza se fosse stata la sua cameriera o la sua dama di compagnia. E di sicuro non aveva neppure un misero ducato per convincerlo a tornare sui suoi passi.
- La contessa Braschi vi aveva pagato profumatamente per accompagnare tre persone. Non sta a voi decidere chi sia più importante o meno! – insistette Cecilia cercando di mantenere la calma. Ciò nonostante, sentiva che erano parole gettate al vento. Aveva avuto quasi un mese per conoscere un poco il carattere di quell’uomo e sapeva quanto fosse ostinato. Tuttavia non aveva compreso quanto fosse spregevole.
Lui non provava alcun senso di colpa sapendo di abbandonare quelle due donne a sessanta miglia dalla loro meta, e la derise: – Se è questo che credete, non perderò tempo a farvi cambiare idea. Per come la vedo io, ho assolto in pieno al mio dovere. Vi ho accompagnato per ben due terzi del percorso, occupandomi al meglio di voi. Ma ora la contessina è morta e io non sento di avere altri obblighi nei vostri confronti.
Per Alfonso Giustra la faccenda era chiusa. Aveva scelto di fermarsi alla locanda di Pontelagoscuro perché da lì sarebbe potuto arrivare agevolmente a Ferrara e poi a Modena, giungendo infine a La Spezia senza i giri tortuosi che sarebbe stato costretto a fare accompagnando quelle donne. Quasi quasi gli dispiaceva che la giovinetta, dal momento che era destinata a morire, non fosse spirata prima, quando ancora erano nei pressi di Ravenna, risparmiandogli altra strada inutile. Voltò quindi le spalle a Cecilia e stava di nuovo per salire a cavallo quando lei, ancora una volta, lo fermò prendendolo per un braccio.
- Vi prego, non fateci questo! Se ci lascerete qui saremo perdute. Non ho idea di come potremmo raggiungere Mantova senza nessuno che ci guidi. Non abbiamo denaro e non sappiano nemmeno come potremo pagare la stanza che occupiamo.
- Sono sicuro che Ermenegilda ha con sé del denaro ben nascosto. La contessa non avrà mandato via sua figlia senza nulla.
- La contessa non aveva più nulla, Giustra! Aveva speso tutto quello che le rimaneva per affidare a voi sua figlia.
- Che è morta- ribadì di nuovo l’uomo. - Sapete, ragazza, credo che quella donna sia stata molto sconsiderata a obbligare a un viaggio simile una ragazzina così fragile. Praticamente l’ ha mandata a morire.
Cecilia sentì la collera montarle dentro. Come osava dire una cosa simile!
– Che uomo siete? – sbottò. - Che onore avete, se non mantenete la vostra parola!
Giustra strinse le labbra risentito. La ragazza si stava rivelando diversa dalla creatura silenziosa che aveva creduto fosse. E non solo, pensò mentre il risentimento veniva spazzato via da un’improvvisa bramosia.
Mentre lei gli gettava addosso il suo disprezzo, una folata di vento le aveva scompigliato i capelli che erano sfuggiti dalla pesante treccia che li raccoglieva, fatto aderire al corpo la camicia di lino che indossava, svelando al suo sguardo una figura snella e attraente. Non aveva mai visto quella ragazza così. Non l’aveva mai neppure immaginata così, per la verità.
Lei e le altre due donne erano sempre state coperte dal mantello, nonostante spesso di giorno facesse un caldo infernale. Naturalmente, non essendo cieco, aveva notato che le fanciulle erano graziose. Si somigliavano, anche; tanto che all’inizio aveva creduto facessero parte della stessa famiglia. Entrambe con grandi occhi azzurri, entrambe con i capelli biondi, anche se la giovane donna che gli stava di fronte li aveva fulvi.
Con una mano si accarezzo la barba, e facendo scorrere uno sguardo ingordo dal seno pieno al ventre piatto annuì:
- E va bene. Voi potrete venire con me.
D’istinto Cecilia incrociò le braccia al seno, per proteggersi da quello sguardo.
– Io… io soltanto?
- Ma certo. La vecchia non la voglio di sicuro! – replicò l’uomo tornando a guardarle il seno con la speranza di riavere la visione di un attimo prima. - Andiamo, ragazza, perché fingete di non aver capito? Mi piacerebbe avere una giovane compagna di viaggio che scaldi le mie notti. Non siete esattamente il mio tipo, lo ammetto; preferisco le gallinelle più in carne. Quello che ho visto ora, però, potrebbe soddisfarmi. Anche Giacomo, non ne sarebbe dispiaciuto. Non è così, amico mio? – aggiunse voltandosi a guardare il suo compagno, un uomo sui trent’anni dai capelli ricci di un brutto color topo, strizzandogli l’occhio con fare complice.
Quel bastardo parlava come se le stesse facendo un favore, pensò Cecilia sdegnata. Trattenne a stento il desiderio di schiaffeggiarlo, provando un insopprimibile disgusto al pensiero di essere anche soltanto sfiorata da lui. O dal suo compare, che nonostante fosse più giovane, pareva anche peggio.
Fino al giorno prima, quand’erano arrivati alla locanda, aveva visto quell’uomo semplicemente come un accompagnatore. Un individuo che per età poteva esserle padre, pagato per portarle fino a Mantova e occuparsi, al tempo stesso, della loro incolumità. Non che lei ed Ermenegilda se ne fidassero del tutto, per la verità. Durante quel lungo e sofferto viaggio che si era portato via la contessina erano state molto attente a non attirare l’interesse dei due uomini. Per timore di essere spiate avevano evitato di bagnarsi nei corsi d’acqua che avevano incontrato, anche se avrebbero desiderato moltissimo lavare il sudiciume che si era accumulato sui loro corpi e godere di un po’ di frescura; perché quel maggio appena trascorso era stato molto caldo, così come il mese di giugno che era seguito.
- Siete rivoltante! Non accetterò mai di diventare la vostra sgualdrina, né mai abbandonerei Ermenegilda. Non sono ignobile quanto voi! – gridò rabbiosa, riflettendo soltanto dopo che farlo infuriare non era certo una mossa astuta. Se lui, per vendicarsi, avesse deciso di prenderla e caricarla a forza sul cavallo lei non avrebbe avuto alcuna possibilità di sfuggirgli. Quindi, guardinga, fece due passi indietro.
Ma portarsi via a forza la ragazza non era l’intenzione del mercante. Aveva già fatto quasi centocinquanta miglia con quelle donne, e più di una volta si era maledetto per aver accettato quell’incarico. La contessina, che doveva avere per forza qualcosa di strano, dato che si comportava come una bimbetta di dieci anni, non aveva fatto che frignare, ed Ermenegilda, la balia, li aveva rallentati moltissimo, pretendendo che si fermassero di continuo per fare riposare la sua piccola protetta.
Era pur vero che la damigella che aveva di fronte non si era mai lamentata, ma da quello che aveva appena detto, con la foga con cui l’aveva detto, non gli pareva donna da sottomettersi, se non voleva qualcosa. Se l’avesse obbligata a seguirlo, quasi certamente se ne sarebbe pentito dopo poche miglia. Dopotutto quella notte aveva soddisfatto i suoi bisogni con una meretrice, e ad ogni locanda ce n’era una a disposizione, per chi era disposto a pagare.
Montò a cavallo con un cenno al suo uomo, che fece altrettanto; dopo prese un paio di monete dalla saccoccia e gliele lanciò, quasi fosse stata una mendicante.
– Sono generoso, nonostante gli insulti che mi avete gettato in viso! – affermò godendo nel mortificare quell’altezzosa ragazzetta. - Con questo denaro potrete mangiare per un paio di giorni, e dopo chissà se sarete ancora così schizzinosa! Sapete, forse vi pentirete di aver rifiutato la proposta che vi ho appena fatto. Tempo pochi giorni e finirete col fare la baldracca per vivere, se non sarete gia stata uccisa e gettata in una roggia.
- Se sarò morta non avrò di ché pentirmene- replicò Cecilia, ormai solo a sé stessa, poiché uomini e animali stavano lasciando il cortile.
Guardò le monete ai suoi piedi, emise un gemito rabbioso e si voltò per tornare alla locanda senza raccoglierle.
Un passo, due… chiuse gli occhi e si fermò. Sbuffò, scosse la testa e tornò indietro. Non poteva lasciare quel denaro a terra; ora più che mai lei e la balia ne avevano un disperato bisogno. Non poteva, anche se si sentiva profondamente umiliata.
Raccolse le monete, e con la sensazione che le stessero bruciando il palmo cominciò a correre verso la porta della locanda.
Stava per mettere piede sul primo gradino della scala quando si sentì afferrare alla vita da due braccia prepotenti.
- Ma che bella ragazzotta abbiamo qui.
Era buio nella sala comune, illuminata soltanto da una lanterna appesa vicino alla porta della cucina. Cecilia vedeva solo la massa scura delle braccia sulla sua camicia bianca, ma ne sentiva la robustezza insieme all’odore sgradevole che il corpo dell’uomo emanava. Lui la fece girare a forza per trovarsela di fronte e lei sentì lo stomaco contrarsi dalla nausea quando questi cercò di forzarle la bocca per baciarla.
Si agitò, sfuggendo a quel bacio umido e nauseante.
- Lasciatemi! – ordinò.
- Mi hai svegliato quando mi sei passata sopra e ora devi pagare – ribatté lui con un tono che pareva una condanna, alitandole in viso e provocandole un’altra contrazione allo stomaco.
Gli occhi si stavano abituando al buio e Cecilia notò che aveva addosso una collana di corda con infilata quella che dall’odore pareva una testa d’aglio. Quasi non fosse stato abbastanza disgustoso senza! Forse confidava di preservarsi dalla peste o dal colera, oppure era uno di quei contadini che si stavano preparando al solstizio d’estate, di lì a qualche giorno, e che credevano che con l’aglio al collo si sarebbero protetti dal potere delle streghe.
Immaginando che urlare non l’avrebbe aiutata a salvarsi da un’immediata violenza, Cecilia, che teneva i pugni chiusi contro il petto dell’uomo per tenerlo il più possibile lontano, non esitò a liberarsi delle monete che teneva strette in una mano, sperando di distrarlo da lei per il tempo che le serviva per rifugiarsi nella sua stanza.
Proprio come aveva sperato, il tintinnio che provocarono cadendo sul pavimento di pietra fece perdere all’uomo l’interesse per la sua persona; immediatamente la lasciò per gettarsi a terra, per tastando nel buio per raccoglierle.
Senza esitare, Cecilia salì di corsa le scale e spalancò l’uscio di quella topaia che erano state così fortunate da ottenere. Dopo lo richiuse dietro di sé, appoggiandosi poi contro tremando di collera e paura.
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