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La Prima Cosa Che Guardo/La Premiere Chose Q'On Regarde
L’uscita del libro ha riconfermato il talento che all’autore era stato riconosciuto con l’opera prima “Le cose che non ho”. Mentre sto cercando quest’ultima in libreria (in due mi hanno detto che è esaurita), direi che siamo in presenza di una felice combinazione: critica e grande pubblico sono d’accordo sul prodotto che, nella fattispecie, si colloca nella haute couture della letteratura contemporanea.
Il protagonista, Arthur Dreyfuss, ventenne, di professione meccanico in uno sperduto paesino della provincia francese, si trova la vita sconvolta da un evento
così impensabile da sembrare un sogno. Alla sua porta, in una placida sera di settembre, bussa Scarlett Johansson. Sfinita, scarmigliata, atona: Arthur, a sua volta frastornato e incredulo di trovarsi di fronte all’attrice americana, tra l’altro una delle sue preferite, pensa che la sua fortuna dipenda dal fatto che Scarlett è rimasta in panne con la macchina nella zona e avendo saputo che lui fa il meccanico…
Nulla di tutto questo. Scarlett confessa che è fuggita dal festival del cinema di Dueville, che sta cercando un rifugio per qualche giorno in un posto sconosciuto, lontano da fotografi, press-agent, ammiratori…Arthur vive in un modesto mini-appartamento, arredato alla buona e senza alcun particolare confort: come può tutto questo sostituire, sia pure per un tempo limitato, il lusso in cui vive abitualmente Scarlett? Ma l’attrice sembra non accorgersene e di conseguenza ad Arthur non pare vero di mettersi a disposizione della donna.
Qual è la prima cosa che Arthur guarda? Le tette delle donne: ne è quasi ossessionato, e più sono grosse e più la sua fantasia galoppa. E combinazione vuole che Scarlett, oltre alla bocca voluttuosa, abbia un seno da urlo.
Così detto, sembra che il proseguo prometta scoppiettanti spunti hot, maliziosi approcci e situazioni da sit-comedy. Invece, per quanto distanti e improbabili come coppia di amici occasionali, i due personaggi riescono a tessere un’intesa
che li porterà a scoprire le rispettive anime, i nodi irrisolti delle loro infanzie e dei rapporti con i genitori, il peso delle reciproche sconfitte. La disponibilità arriva al punto che Scarlett renderà visita in ospedale alla madre di Arthur, felice di essere da lei scambiata, in un suo raro momento di lucidità, con Liz Taylor.
Scarlett sembra afflitta dalla sua bellezza: vorrebbe essere amata non in quanto
simbolo da esibire, ma per le sue qualità intrinseche. Per Arthur, la domanda è la stessa, ma il dato di partenza è diverso: si può essere amati per ciò che si è oppure per quel che colmiamo nell’altro?
Lei pensa di avere una silhouette troppo esposta (con riferimento in particolare al suo celebrato seno) che forse impedisce agli uomini di vedere oltre, di capire il suo cuore e i suoi sogni. Lui di essere insignificante, destinato ad un futuro mediocre tutto vissuto nei nove chilometri quadrati in cui si estende il paesino di Long.
E invece. Lei dice che entrambi hanno fatto dei capitomboli, che sono un po’ ammaccati e poi, al penultimo giorno della sua permanenza, gli offre il suo cuore e il suo corpo. Arthur ne è sopraffatto e vi accederà con inesperta passione, con pensieri e tenerezze che cambieranno per sempre la sua vita.
Al suono di una musica di Keith Jarret, mentre respirano all’unisono, Scarlett dice ad Arthur: non sei il primo; mi piacerebbe che fossi l’ultimo. E così fu.
Mi è particolarmente piaciuto lo spunto originale (del quale, ovviamente, non rivelo tutto) e la commistione tra levità e profondità della narrazione. Il riuscito amalgama tra i due protagonisti, catapultati in una situazione che non avevano né voluto né programmato, che riescono a sedurci e allo stesso tempo a commuoverci. Senti che l’autore attinge ad una ricca vena ispiratrice, che giunge al lettore in forma lirica e capace di procurare un rapimento profondo. Il libro ha poi il pregio di essere conciso senza per questo privare il lettore di interessanti spunti culturali
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