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Riflessioni su sesso, sessualità e contraddizione
Signori “Dos”, così venivano chiamati gli argentini negli Stati Uniti prima della seconda guerra mondiale: la definizione era data perchè il benessere di cui godevano e il desiderio di affermazione che li contraddistingueva, faceva loro comprare compulsivamente il doppio di ogni cosa, sia che si trattasse di gioielli, case oppure cavalli. Io sono una Dos-operativa, ho un disturbo (della concentrazione?) che mi porta spesso a fare due cose contemporaneamente con risultatati non sempre ottimali. Lo scopo dovrebbe essere quello di produrre di più e in minor tempo, ma in effetti le divagazioni mi allontanano spesso dall’obiettivo che avevo in mente.
Per esempio, mentre mi accingevo a scrivere qualcosa su una figura storica di secondo piano come Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone I rinfrescandomi contemporaneamente le nozioni sul come e il perchè Genova avesse ceduto la Corsica alla Francia, l’occhio mi è caduto su un rigo di un libro aperto riguardante tutt’altro argomento: in questo si poteva leggere che Sigmond Freud è considerato un romantico. Mi sono incuriosita e incaponita nel cercare il senso di questa definizione ed è così che, allontanandomi dall’idea iniziale, mi sono infilata in questo articolo su “sesso, sessualità e contraccezione”.
Su Freud romantico, in effetti, non ho trovato riscontri esaurienti. Alcuni hanno congetturato che l’ interesse per la psichiatria fosse dettato dalla sua cultura romantica che gli permetteva di accorgersi dell’incapacità della scienza e della natura di rispondere agli enigmi del mondo. Nella psicologia moderna Freud diventò il più esplicito rappresentante della causa dei romantici nell’ambito di un periodo storico (la seconda metà dell’ottocento) in cui l’austerità dei costumi e il perbenismo imposti in Inghilterra dalla Regina Vittoria, influenzavano tutti i paesi europei. Tale cultura lasciava presupporre che le donne perbene non dovessero avere pulsioni erotiche né tendere all’orgasmo. La donna doveva essere passion-free e accostarsi all’atto sessuale come un dovere che compete ad una brava moglie. Freud trattò il sesso, argomento tabù sia per uomini che donne, in maniera ampia, scientifica ma anche filosofica: discusse del conflitto che può crearsi tra il sentimento dell’amore e della sessualità nella relazione romantica e quali comportamenti potevano derivarne. Si può anche aggiungere che la scoperta di Freud dell’inconscio si inserisce come filosofia nella letteratura romantica prima che si arrivi alla definizione di una nuova teoria medico-scientifica.
Se lo studio della mente e della sessualità ha permeato tutta la ricerca scientifica di Freud ed è universalmente noto, per esempio, il complesso di Edipo in cui possono incappare gli uomini, è anche vero che lo scienziato ha dedicato la maggior parte delle sue energie alla posizione delle donne.
Non è questa la sede né la sottoscritta ha titoli per dibattere su argomenti scientifici. Personalmente mi interessa fare una riflessione su alcuni aspetti del pensiero di Freud sul rapporto uomo-donna e su questo esprimere un parere che non considero peregrino. Non mi ritrovo, anzi lo considero del tutto estraneo alla mia natura di donna, l’invidia del pene che sarebbe all’origine di molte nevrosi femminili e della percepita inferiorità della donna rispetto all’uomo. Sommessamente, mi azzardo a dire che considero il pene poco più di un’escrescenza del corpo maschile, non troppo dissimile dal nostro seno. Questo sentimento di invidia e di stato di inferiorità della donna rispetto all’uomo è reale e diffuso? Non ci sono contropartite, sia pure a livello di inconscio? Ci sono, per fortuna.
Non seguiamo psicologi e antropologi nelle loro accademiche discussioni per definire le diverse strutture fisiche e mentali di uomo e donna che per gli uni sarebbero il risultato di differenze e per altri di deficienze (della donna ovviamente). Ci possiamo intrattenere sul fatto che l’uomo, per funzionare sessualmente, deve avere un’erezione ed essere in grado di conservarla durante il rapporto fino all’orgasmo. L’uomo deve dimostrare di saperlo fare, dare piacere alla donna e confermare così la sua potenza di maschio: la donna no. Partecipa senza dover dimostrare nulla.
La felice conclusione di un’erezione riguarda l’IO dell’uomo, il suo prestigio, il suo valore agli occhi della donna: il sentimento della donna nell’atto sessuale riguarda essenzialmente il suo piacere, se e come procurarlo al partner è facoltativo.
La donna non ha il pene eppure anche l’uomo invidia la donna per la sua capacità di ridicolizzarlo proprio nella sua mascolinità. La donna ha la capacità di suscitare un’erezione, ma anche la possibilità di smorzarla con una annotazione sarcastica. Come può difendersi l’uomo da questa temuta eventualità? Facendo in modo che la donna abbia paura di lui, che lo tema, che ne sia dipendente economicamente o socialmente.
Semmai, il desiderio della donna di avere un pene lo farei derivare dalla speranza di non essere dipendente dall’uomo, dal superare le limitazioni nelle sue aspettative e di non essere sottoposta a frustrazioni. Così come può essere che il desiderio dell’uomo di essere una donna (che ovviamente esiste), dipenda dal volersi scaricare dell’obbligo della prova, insomma, dal dover confermare ad ogni coito la sua prestanza con erezioni che debbono soddisfare per dominare.
La specifica ostilità maschile verso la donna – l’altra faccia dell’attrazione – si manifesta nel sopraffare con la forza fisica (il pene non è anche il simbolo di un’arma penetrante che può far male?) e con la potenza economica. La difesa femminile consiste nel demotivare l’erezione e nell’indebolire l’uomo con il ridicolo o il disprezzo.
Le donne possono partorire: gli uomini no. Le donne hanno in comune con la natura e gli animali la riproduzione e sino a quando l’uomo non è stato capace di produrre tecnicamente degli oggetti, il primato della donna, nella società primitive, era indiscusso. Non avendo cognizione del suo apporto nel concepimento, l’uomo si considerava sterile e improduttivo e a buon diritto si può immaginare che fosse invidioso per una capacità che lui non aveva. Questa posizione preminente della donna nella storia primitiva trova conferma nelle diverse dee che venivano venerate come numi tutelari delle tribù, dei villaggi e delle città.
Artemide-Diana, greca la prima, romana la seconda. Artemide è una dea vergine, divenuta levatrice dopo aver aiutato la madre Leto a partorire il fratello e si disse di lei che le donne trovassero sollievo nell’invocarla durante il parto. Ma era anche capace di furie omicide contro coloro che osavano uccidere femmine di animali incinte o di cuccioli appena nati. Mami, dea dei Sumeri, era la creatrice di tutte le cose e la “madre di tutti”. Veniva raffigurata a cavallo di leoni ornata di gioielli donati dal suo popolo, tutelava le partorienti e le proprietà terriere ed era il simbolo della fierezza e della creatività delle donne. Sheila na Gig, dea celtica della Vita e della Morte è rappresentata vecchia e deforme mentre si apre con la mani la vagina, quasi che vecchiaia e nascita, deformità e potere delle donne di partorire siano un tutt’uno, cioè un simbolo potentissimo. L’elenco delle dee è comunque molto ampio e meriterebbe un articolo successivo.
La contraccezione, di cui si hanno tracce antichissime, è innanzi tutto una storia di donne. Prima dell’avvento del condom alla fine dell’800, era la donna che stabiliva, con i mezzi messi a disposizione dalle esperienze dell’epoca, se e quando farne uso. Certamente le donne si facevano carico di una pianificazione ante litteram delle nascite e ovviamente le loro scelte erano influenzate da problemi sociali e famigliari (povertà, prole numerose, riprovazione sociale), ma è altrettanto vero che avevano capacità di agire autonomamente e non di rado tenendo all’oscuro il partner.
Le prime testimonianze storiche di contraccezione risalgono a 4000 anni fa e le troviamo nella Bibbia, nel Talmud, così come in iscrizioni assiro-babilonesi. Nel 1550 A.C., nel papiro di Ebers, vengono descritte tecniche primitive di prevenzione delle gravidanze con pozioni, unguenti, tamponi vaginali di garza imbevuta di miele e succo d’acacia la cui fermentazione creava un ambiente sfavorevole alla mobilità degli spermatozoi. A Sumatra veniva utilizzato una specie di diaframma trattato con oppio e chinino.
Si attribuiscono poi al medico greco Ippocrate, del V secolo A.C.,metodi orali di contraccezione consistenti in miscele di solfato di ferro e rame unite a croco, alloro e semi di ortica. Nel 1° secolo A.C., un testo indù indica l’uso di varie piante medicinali a scopo contraccettivo e tra queste, la Lycopus virginicus della quale oggi è riconosciuta la capacità di agire per disattivare le gonadotropine. Nel periodo imperiale romano erano molte diffuse le abluzioni contraccettive e si usavano vesciche animali come ostacolo alla fecondazione.
Per molto tempo gli storici della demografia e della famiglia hanno ritenuto che le pratiche contraccettive fossero praticate solo da èlite ma il casuale ritrovamento degli atti di in processo avvenuto a Meride (Lugano) nel 1696, sembra indicare che le tecniche fossero alla portata anche delle classi povere. Non tralasciando che la Svizzera era già in quel secolo terra di emigranti, proletarissimi artigiani, contadini, fabbri e cuochi ecc. i quali, spostandosi in vari paesi, imparavano i costumi e gli indirizzi di tutti i bordelli europei, il processo a tale Anastasia Provino è illuminante sui costumi dell’epoca. Si trattava di una contadina vedova, incarcerata con l’accusa di aver avuto rapporti sessuali con un nipote. L’incriminata non solo li ammise ma si vantò di averli avuti con altri 17 uomini senza mai rimanere incinta perché “l’uno insegnava all’altro” come fare per evitare le gravidanze.
Tra la fine del XVII e il XVIII secolo viene introdotto il condom e si diffonde l’uso del bidet per le abluzioni in funzione contraccettiva. Il ginecologo olandese W. Mesinga crea nel 1883 un vero diaframma vaginale, costituito da una volta emisferica soffice e resistente in caucciù, fissata ad un anello rigido.
Nello stesso periodo il mondo industrializzato rimase impressionato dalle previsioni catastrofiche di T.R.Malthus circa un futuro in cui benessere e sviluppo sarebbero entrati in profonda crisi per il pericolo derivato da un aumento sconsiderato della popolazione mondiale. I rimedi suggeriti andavano dal celibato volontario all’imposizione coatta di misure contraccettive alle classi povere. Il dibattito tra i favorevoli e contrari alle teorie di Malthus si dilungò per molti anni.
Tra chi non diede alcun peso alla suddette teorie, anzi, praticò in Italia l’esatto contrario, troviamo la classe dirigente del ventennio fascista. Andrebbe approfondita l’emarginazione che le donne italiane subirono durante tale periodo, vittime di un machismo così arrogante che nessun fine politico può giustificare. Il diritto di famiglia, disciplinato dal 1864 dal Codice Pisanelli, improntato alla supremazia maschile, precludeva alle donne ogni decisione di natura giuridica o commerciale (atti legali e notarili, contratti, assegni, prestiti) se non preventivamente approvati dal marito o dal padre. La chiesa cattolica ci mise del suo con l’enciclica papale “Arcanum” in cui veniva esaltata la maternità contro la modernità portatrice di corruzione.
Furono vietati, durante il fascismo, l’educazione sessuale, l’uso di anticoncezionali e l’aborto. Le donne non erano portatrice di interessi personali, né potevano aspirare all’emancipazione: dovevano solo stare in casa a fare figli per lo stato e per l’ampliamento delle colonie mentre la tutela della prole era di esclusiva pertinenza dei padri. Madri o puttane che fossero le donne, la condizione era sempre la stessa, dovevano stare sottomesse. Una delle poche donne che aveva condiviso con Mussolini vent’anni di sesso e il riverbero del potere, l’intellettuale ebrea Margherita Sarfatti, venne liquidata con un ostentato colpo di spugna. Dopo una lunga attesa a palazzo Venezia, un maggiordomo le ingiunse di andarsene perchè il Duce non l’avrebbe mai più ricevuta. Chapeau al fulgido esempio di bon ton!
L’anarchica Emma Goldman (nata nel 1860 in Russia, vissuta negli USA e morta in Canada nel 1939), tra le sue battaglie incluse anche quella di liberare le donne dalla loro sudditanza e dall’obbligo usare la sessualità solo in funzione della procreazione. Le sue considerazioni in materia sono considerate manifesti di principi per l’emancipazione femminile.
Margaret Sanger (New York 1879, Tucson 1966), infermiera diplomata con alle spalle una madre morta di tumore dopo 18 gravidanze e l’esperienza di aver visto alcune ragazze perire dopo aborti clandestini, animò una rubrica sul “New York Call” denominata “Quello che ogni ragazza dovrebbe sapere”. Nel 1916 fonda a Broocklyn la prima clinica per la pianificazione famigliare e nel 1921, tra un’incarcerazione e l’altra, fughe e persecuzioni giudiziarie, fonda l’American Birth Control League. Nel 1927, con l’ereditiera Katherine Dexter MacCormick, finanzierà la ricerca di Gregory Pincus sulla pillola.
Negli anni tra il 1950/1960, l’opinione pubblica americana venne scossa dalla divulgazione del cosiddetto “Rapporto Kinsey” che metteva in discussione convinzioni radicate sul sesso di uomini e donne. Quando Mary MacCarthy scrive nel 1960 il suo best seller “The Gruop” in cui le protagoniste affrontavano dal punto di vista femminile il diritto al piacere sessuale, il suo romanzo funge da detonatore di una rivoluzione dei costumi che stava per deflagrare.
Poiché il romanzo della MacCarthy è a sua volta parte di un processo che lo studioso Antony Giddens aveva previsto nel suo “La trasformazione dell’intimità”, in via eccezionale (solo per il fatto che si tratta di un uomo), lascio allo stesso Giddens la parola per le conclusioni:
“La sessualità duttile è un modo di vivere e di intendere la sessualità in cui è fondamentale la rivendicazione femminile del piacere sessuale. La sessualità duttile è una sessualità eccentrica, libera dai vincoli della riproduzione. Può essere plasmata come un aspetto della personalità e quindi è intrinsecamente legata all’IO e alla storia personale di ogni individuo. E’ libera dalla fallocrazia maschile e si fonda sull’autonomia della persona”.
Concordo, e Voi?
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