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Home | Quattro chiaccchiere con Paola Picasso, autrice made in Italy!

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Quattro chiaccchiere con Paola Picasso, autrice made in Italy!

Tra tutte le utenti iscritte al sito che commenteranno questo post  entro il 22  Febbraio, verrà sorteggiata una fortunata vincitrice del romanzo Venti d'amore e di guerra,  gentilmente offerto dalla Leggereditore.
SE NON SIETE ANCORA ISCRITTE NON PERDETE TEMPO ;-) !

Ho conosciuto personalmente la scrittrice Paola Picasso, ed è  stata una piacevole sorpresa  scoprire una persona splendida, briosa, autoironica con una simpatia che non ha eguali. Dove c’è lei non ci si annoia mai… credetemi, sa veramente tenere banco a tutte! Starei ore a sentirla, è una persona  disarmante , con la   battuta pronta! Sono stata tentata più volte di prendere Paola  e portarmela a casa, sicuramente le mie giornate sarebbero  molto spumeggianti  e sarei sicuramente sempre di ottimo umore, perché dove passa Paola la strada si tinge di … rosa.
Confesso di essere molto curiosa: mi piacerebbe sapere in che modo Paola ha conosciuto suo marito, un  pilota d'aereo.  La prossima volta che la incontro state sicuri che le carpisco tutta la storia  ^_^
Per il momento gustiamoci questa interessante intervista rilasciata da Paola Picasso in occasione dell'uscita recente del suo libro Venti d'amore e di guerra!

Cara Paola benvenuta nel nostro salottino virtuale! Vorremo  cominciare questa intervista chiedendoti di parlarci un po' di te e della tua splendida carriera ,  in particolare quando è nata la tua passione per la scrittura? Quali sono state le  tue prime pubblicazioni?  Con quale casa editrice hai debuttato,e  com’è avvenuto questo incontro? A suo tempo hai avuto difficoltà a trovare un editore?

Eccomi qui, care amiche, comodamente seduta nel nostro salottino e pronta a raccontarmi dopo essere stata, ahimé, per lunghi anni in silenzio perché al mio esordio come scrittrice e anche dopo, i blog non esistevano e solo le lettrici decretavano il successo di un romanzo. Dunque la passione per scrivere credo onestamente che sia nata insieme a me.  Purtroppo mio padre morì quando avevo tre mesi di vita, mia madre dovette mettersi a lavorare e di conseguenza  io restavo spesso sola (anche se affidata a qualche camerieretta volante). Appena sono stata in grado di farlo, ho cominciato a scrivere delle favole sui libri maestri di mio padre. Raramente le concludevo, perché il finale mi sfuggiva, però inventavo con entusiasmo. I primi racconti me li pubblicò la rivista Novella. Altri, un editore francese che poi si dimenticò di pagarmi.  In seguito, nati i figli, mi sono dedicata a loro, pur continuando a scrivere  fiabe e racconti.  Quando mia figlia Carlotta aveva sette anni, scrissi delle favole e la casa Editrice La Scuola, di Brescia, di cui ebbi fortuitamente l’indirizzo, me le pubblicò tutte in diversi volumetti.  Ho scritto anche una commedia per ragazzi che è stata messa in scena in molte scuole e in un teatro, il Teatro di San Giuseppe di Rovello- Como dalla compagnia teatrale La Ruota , ottenendo un buon successo. Con l’avvento del “rosa” ho cominciato a pubblicare  nella collana “Polvere di Stelle” con numerosi pseudonimi.  Da quella sono passata a Bluemoon, poi ad Harlequin e infine a Mondadori, lavorando sempre sia come autrice che come traduttrice. Ho all’attivo un numero impressionante di romanzi e spero di poterne scrivere altri  che le mie lettrici apprezzino.

Sei una autrice completa, scrivi romanzi a puntate e racconti per delle riviste,collabori con loro da anni, ma il tuo lavoro spazia inoltre dalla letteratura per bambini  al romanzo rosa; come riesci a dividere i due generi? Hai o hai avuto delle difficoltà?

No, nessuna difficoltà a spaziare da un campo all’altro.  Se la fantasia è ricca e vivace, un vero dono di Dio di cui non ho alcun merito, non conosce confini. A me personalmente basta l’imput. Se voglio scrivere un racconto, o un romanzo a puntate per una rivista, ci penso un momento, inquadro i personaggi e la storia fluisce per conto suo. Lo stesso succede per i romanzi storici, o per le favole. Con i miei nipotini ho impostato un gioco che chiamo “Il quadro”. Io dipingo a parole una cornice, per esempio un giardino pieno di neve e un bambino infagottato. Loro devono riempire il quadro, inventando una storia. In fondo è quello che faccio con me stessa e che stimola la creatività di chiunque.

Quando finisci un libro o racconto,  ti prendi una pausa o hai voglia di  ricominciare con una nuova storia ?

Quando finisco un romanzo, in genere mi riposo con una traduzione, ma se ho già un’altra trama in mente, comincio a scriverla contemporaneamente alla traduzione. Se non avessi più delle idee da sviluppare, mi sentirei spenta e vuota. Lavorare è per me entusiasmante. Quando nasce un libro è un po’ come veder nascere un figlio.

Cosa  ama scrivere più di tutto Paola Picasso ?

Come ho detto spesso, quelle che amo maggiormente scrivere sono le favole perché, e mi ripeto, nelle favole l’impossibile non esiste. Tutto può accadere e più l’evento è straordinario, più è affascinante. Purtroppo l’editoria per bambini  è un mondo chiuso e di difficile accesso. Gli editori pubblicano poco perché vendono poco.  Vorrei dire a tutti i genitori del mondo di raccontare delle favole ai figli e di insegnare loro a leggere perché i libri sono dei compagni di cammino preziosi.

Questa è una domanda che facciamo spesso, perchè alle lettrici fa piacere sapere i gusti delle sue scrittrici: - Quali sono le letture che prediligi? Hai un libro del cuore, quello che non daresti mai via? Perché? Certamente  ricordi con tenerezza il primo libro letto…

Sono sempre stata una lettrice avida e insaziabile e da ragazza, avendo a disposizione una libreria ricca, ho spaziato dai classici ai moderni, probabilmente creandomi nella testa una bella confusione. Ho amato anche La Delly, WillY Diaz, Liala e più tardi Brunella Gasparini perché facevo coesistere con grande disinvoltura un romanzo rosa con “Delitto e castigo” o Proust. Oggi forse prediligo i libri storici, ma  non disdegno nessun tipo di letteratura. A differenza di quando ero giovane, adesso se un romanzo non mi cattura subito, lo lascio e ne leggo un altro. Il tempo, care amiche, è prezioso se uno vuole leggere di tutto e di più. Il libro che forse ho amato più di tutti da piccola è stato Pinocchio. Tra quelli che ho scritto: “Il bambino senza voce”, un romanzo che ha davvero un posto speciale nel mio cuore.

Attualmente sul tuo comodino in attesa di essere letto c’è…

Scusate la pausa, ma sono andata a guardare quali libri ho sul comodino.

In testa c’è “IL resto di niente” di Enzo Striano. Poi “La canzone dell’eterno rimpianto”¸Bermuda, ll Triangolo maledetto;  “Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austin che voglio rileggere.  Un bel pourpourri. Ma dato che il mio comodino ha un ripiano sottostante, la lista non è finita. C’è un Dominique La Pierre e alcuni romanzi delle mie colleghe: Mariangela Camocardi, Ornella Albanese, Miriam Formenti, Roberta Ciuffi. Maria Masella a Teresa Melville. La sera quando vado a letto, comincio a leggerne uno, poi passo a un altro e a un altro a seconda del mio stato d’animo e anche  per non lasciarne troppi indietro.

Nel 2008 hai iniziato il sodalizio con Mondadori debuttando con il romanzo storico  “Il pirata misterioso”, vuoi raccontarci come sono nati Violet e Hildago?

Spiacente, ma devo correggervi. Il primo romanzo pubblicato da Mondadori una decina di anni fa o più, è stato “Gli occhi di Madeleine”. A quello è seguito “Luci d’inverno”. Poi dopo una lunga pausa dovuta ad alcune incomprensioni, è arrivato Il Pirata Misterioso e altri. L’ultimo è uscito a ottobre con il titolo “Il destino ci attende” e un altro sarà pubblicato in autunno. Come sono nati Hidalgo e Violet? Ebbene, si parla spesso di pirati, giusto? Io volevo un pirata gentiluomo, un po’ Robin Hood, un po’ Passator Cortese ed è nato Hidalgo. La sua corrispondente femminile non poteva che essere una giovane donna audace, coraggiosa e romantica come il suo nome.

Quando scrivi ascolti musica?  Oppure preferisci l’assoluto silenzio? Inoltre ci intriga sapere se nelle tue opere c’è qualcosa di autobiografico o se  hai tratto ispirazione dalle  persone che fanno parte della tua vita .

Lavoro in un silenzio interrotto spesso da telefonate, o da arrivi imprevisti. Anni fa erano i miei famigliari a intromettersi in continuazione, eppure all’epoca scrivevo un romanzo al mese con la macchina da scrivere. Il che significa doverlo ribattere una, o anche due volte.  Penso che tutti quelli che scrivono, inseriscono nelle loro storie delle note autobiografiche. Per quanto si tenti di spersonalizzarsi, l’inconscio non si può imbavagliare ed è lui che di tanto in tanto si mette a battere sui tasti del computer. Per quello che riguarda le persone che hanno fatto parte della mia vita, il discorso è diverso. Sento come un pudore e raccontare le loro storie, o a descrivere la loro personalità. Da anni ogni tanto mi viene voglia di scrivere un romanzo su mia madre che è stata una donna bellissima, di grande successo e che ha sepolto ben tre mariti, che Dio la benedica, ma qualcosa mi trattiene sempre.  E’ come un veto dell’anima, o della mente.

Negli ultimi anni il gusto letterario dei lettori  in parte è  cambiato, le librerie abbondano di romanzi sui vampiri, licantropi, zombie, insomma il paranormale è diventato un genere dominante , cosa ne pensi di questa evoluzione letterale? Hai mai pensato di cimentarti in un opera di questo genere o preferisci il romance classico?

Confesso una mia deficienza, detesto i romanzi di fantascienza. Il paranormale mi attira, ma ho troppo rispetto per quella sfera misteriosa per scrivere delle inesattezze. Senza dubbio preferisco i romanzi classici.

Hai debuttato recentemente per la Leggereditore,con il romanzo storico  "Venti d'amore e di guerra” Puoi raccontarci qualcosa di questo nuovo libro?

“Venti d’amore e di guerra”  ha avuto origine dalla lettura di alcuni articoli sulla guerra di Crimea di cui sapevo poco. Di conseguenza i protagonisti maschili non potevano che essere dei baldi ufficiali di marina e quelli femminili…. delle seguaci di Florence Nightingale, la coraggiosa donna che creò un corpo di infermiere e andò in Crimea a curare i soldati feriti. L’ambientazione così particolare mi ha ispirata e davvero quella storia è fluita senza pause in brevissimo tempo.

Siamo  felici di leggere che sei stata anche ospite nel salotto del Maurizio Costanzo show e che hai lavorato con Nino Castelnuovo, vuoi raccontarci qualcosa di quelle esperienze?

Costanzo è stato gentilissimo con me. All’inizio lo temevo per le sue battute pungenti e perché  la letteratura rosa offre il fianco a facili critiche, invece mi ha trattato con garbo estremo e il giorno dopo c’era un suo articolo su di me sulla prima pagina del Messaggero che diceva: La Sig Picasso, un romanzo al mese. Con Nino Castelnuovo, persona cordiale e semplice, ho lavorato in una trasmissione che si chiamava “Lo specchio della vita.”  E’ stata per me  un’esperienza diversa, intrapresa per pura curiosità.

Un tuo racconto per bambini è stato in teatro lo scorso novembre, vuoi parlarci di questa esperienza?

 Ne parlo con grande piacere. La commedia, nata come favola e poi sceneggiata da me, si chiama “L’albero delle piume”. Una mia collega, Anna Maria Ferretti, scrittrice per ragazzi, la lesse e trovandola piacevole, la mandò  a un gruppo editoriale milanese che accettò subito di pubblicarla. Qualche anno fa ho saputo che è stata messa in scena da una scuola milanese e ha vinto il primo premio. L’anno scorso invece è stata una compagnia teatrale a recitarla. Dovevo andare alla prima, ma in contemporanea c’era la Vie en rose a Firenze.  Comunque  gli organizzatori mi hanno mandato un dischetto con alcune scene e mi hanno detto che a grande richiesta la ripeteranno anche quest’anno. Spero di poter assistere a una recita, sono sicura che mi emozionerò molto.

In questo momento stai lavorando ad un nuovo progetto? Di cosa si tratta, ti va di parlarne?

 In questo momento, oltre ad aver appena finito una traduzione e aver impostato due racconti, devo riprendere le fila di un romance interrotto.  La storia è ambientata nella Francia del 1400, all’epoca di Giovanna D’Arco che infatti vi compare. Non svelo altro e non so a chi darò questo ultimo nato.  Gli editori con cui lavoro hanno già in giacenza due lavori miei perciò…Editori, fatevi avanti! Nel cassetto, anche quella interrotta a tre quarti, ho la storia di una bambina di oggi che cresce in mezzo alle difficoltà che tutti conosciamo. Infine, ma non so se posso già parlarne, una collega coraggiosa sta aprendo una piccola casa editrice e ha già preparato la copertina di un mio romanzo attuale: “Una farfalla con un’ala sola”. Dovremo tutte comprare i libri che pubblicherà perché chi ha fegato, va aiutato.

Isn’t it romantic?  ti ringrazia per essere stata un’affabile ospite, c'e' qualcosa che vorresti dire alle lettrici?

Per prima cosa, grazie a voi, amiche del blog per l’ospitalità.  Spero di aver appagato la curiosità delle lettrici se non del tutto, almeno in parte. E mi auguro di sentire il vostro e il loro giudizio sul mio lavoro. A tutte auguri di serenità e amore.  Paola Picasso

 

Venti d'amore e di guerra

Promessa in sposa all’ammiraglio James Stafford, la giovane Katy Westmoreland decide di rinunciare al suo unico grande amore, il tenente di vascello Robert Chesterton, giovane senza titoli, né beni. Nonostante la decisione sia fonte di grande dolore, la ragazza non vuole ribellarsi al volere dell’anziano padre, ormai sul letto di morte. Tuttavia, frequentando James Stafford, Katy si accorge della sua grande nobiltà d’animo, e pur non amandolo impara a conoscerlo e ad apprezzarlo. In Europa, però, soffiano venti di guerra. James e Robert partono per la Crimea. Ora è la storia a mettersi fra Katy e il suo sogno di felicità. Spinta da un coraggio esemplare, la ragazza non si arrende alla dura realtà e parte a sua volta come infermiera.Fra mille ostacoli, difficoltà e peripezie, riuscirà a ritagliarsi un posto nel mondo e a riabbracciare l’unica persona che mai l’abbia compresa fino in fondo, conquistando ogni fibra del suo essere?Un romanzo che si legge a ritmo incessante, come una danza vertiginosa che ci trascina fra battaglie, colpi di scena e una storia d’amore che si iscriverà nel firmamento del rosa.
 

ESTRATTO di Venti d'amore e di guerra

Londra, Inghilterra, 1853

Westmoreland House, un imponente edificio in stile vittoriano all’angolo tra Richmond Street e Oxford Street, quel giorno di aprile del 1853 aveva un aspetto insolitamente cupo. Le finestre erano chiuse e il pesante portone a borchie sbarrato. L’unico segno che la magione fosse abitata era il fumo che saliva nel cielo pallido dai numerosi comignoli che punteggiavano il tetto.
Il conte Oscar Bennet Westmoreland, ex commodoro della Royal Navy, non si sentiva bene, aveva passato una notte d’inferno e il suo malessere gravava su tutta la casa come un’ombra cupa e opprimente.
La servitù attendeva ai suoi compiti muovendosi in punta di piedi e Mr Cunnigham, il maggiordomo, da anni al servizio della casa, aspettava vicino alla porta l’arrivo del medico che un valletto era andato a chiamare quel mattino e intimava agli sguatteri e ai lacchè il massimo silenzio.
La contessa Emily, devota e tremebonda moglie dell’ammalato,si aggirava nel corridoio del primo piano, torcendosi le mani e invocando la benedizione celeste, incerta se fare capolino nella camera del marito, rischiando un ruggito da perforarle i timpani, o restare lì in attesa degli eventi.

Si sentiva inutile come una vecchia carta da parati, ormai invisibile a chi è avvezzo ad averla sotto gli occhi, spaventata dalle visioni drammatiche che la perseguitavano, immagini paurose che nessuno a parte lei riusciva a vedere, e umiliata dal contegno sdegnoso del marito.
Sapeva d’averlo deluso come donna e si rendeva conto di irritarlo. Oscar, uomo forte e dal temperamento sanguigno, non tollerava le persone paurose, credulone e inclini a cedere a fantasie morbose. «Concretezza, mia cara!» tuonava quando gli raccontava un sogno, o lo rendeva partecipe di un timore a suo dire infondato. «Resta con i piedi per terra e credi solo a ciò che tocchi!»
Ebbene, era impossibile toccare i pericoli in arrivo, eppure lei li sentiva come fossero delle presenze inquietanti ma era costretta a tenerli per sé, piccole serpi velenose che le si annidavano nelle viscere e le rodevano il fegato.
Non le era consentito neppure dare a Oscar qualche consiglio basato sul buonsenso, perché lui, ormai sospettoso di tutto,immaginava che lei, la sua ineffabile moglie sensitiva, come amava chiamarla, vedesse passare il suo feretro in un carro funebre, tirato da una quadriglia di cavalli neri, bardati a lutto.
E poiché quella visione funerea non lo rallegrava, s’imbestialiva ancora di più.
«Oh, povera me, povera me» gemette, lasciandosi sfuggire un singhiozzo.
Quel lamento penetrò attraverso le spesse mura del corridoio e giunse a Katherine, la figlia diciassettenne che dormiva ancora nel suo letto a baldacchino, risuonandole nell’orecchio come un lontano campanello di allarme.
Il sogno che stava facendo e che cominciava a ripetersi spesso minacciò di svanire, ma lei vi si aggrappò, stringendo forte la mano del giovane misterioso che, come le volte precedenti, l’aveva raggiunta nel magico mondo onirico. I tratti del suo viso erano indistinti, tuttavia dalla sua figura, dal suo atteggiamento sicuro trasparivano una grande forza morale, unita a dolcezza e a comprensione.
Katy non conosceva il suo nome, non sapeva chi fosse, ma sentiva, così come sentiva il calore del sole, o la carezza del vento sulla pelle, che lui avrebbe fatto parte del suo destino.
Attendeva d’incontrarlo con ansia sempre maggiore e quando lo vedeva apparire dalla nebbia che sostava sul limitare del sogno, una pace meravigliosa le scendeva nel cuore.
Fu un gemito più prolungato a strapparla dall’incantesimo.
Katy balzò a sedere sul letto, poi senza più esitare, s’infilò una vestaglia e corse alla porta.
«Maman!» Uscendo impetuosamente dalla sua stanza, per poco non investì lady Emily, sua madre.
«Che cosa fai qui in piedi? Sei pallida come un fantasma.
Che cosa succede? Il papà sta male?»
Unico raggio di sole in quella giornata triste, Katy benché preoccupata per il padre, aveva il solito aspetto radioso dovuto in parte alla folta chioma dorata, agli scintillanti occhi turchesi, ma soprattutto all’alone di luce che la circondava e che sembrava emanare dalla sua pelle come se un diamante purissimo fosse racchiuso nel suo petto.
La nobildonna si passò furtivamente un fazzolettino di pizzo sugli occhi. «Sta male, figlia mia, ma non lo ammette, m’impedisce di curarlo e perfino di domandargli quali disturbi avverte. Io mi sento così incapace di prevenire il peggio!» concluse la nobildonna, tamponandosi gli occhi.
«Sei troppo pessimista, maman. Cerca di vedere la situazione in modo più sereno. Spesso ti angusti per niente e ne va anche della tua salute.»
La madre sospirò. «Non posso farci niente, tesoro. Mia madre, Guendoline Donnelly, era come me. La chiamavano Cassandra e la deridevano tutti. Morì di crepacuore, povera donna.»
Katherine si rallegrò di non aver ereditato quella sorta di maledizione. Che utilità aveva prevedere un evento e non poterlo impedire? Meglio restare nella beata ignoranza.
«Qui nessuno ti deride, maman. Il papà brontola, ma ti vuole bene, lo sai. Perché continui a camminare per il corridoio? Ti si gonfieranno le vene delle gambe e dopo dovrai stare seduta con i piedi sollevati per almeno una settimana.»
«Aspetto, bambina mia. Io... non so che cosa altro fare. Tuo padre, quando non si sente bene, diventa intrattabile e non tollera nessuno. Sono andata a vederlo due volte. La prima non ha proferito parola. Ha finto di dormire. La seconda, ha ringhiato come un mastino. ‘Non vegliarmi come se fossi già defunto, Emily... cara’ mi ha gridato, scacciandomi. Sono sicura che quel ‘cara’è stata una pietosa aggiunta per mitigare le sue parole crudeli. Non gli sono affatto cara, specie in momenti come questo.»
«Oh, maman!» Katy le prese le mani e gliele strinse, cercando di confortarla. Benché avesse solo diciassette anni, a volte le sembrava d’essere più matura di sua madre, una donnina minuta e trepidante, un passerotto timido, vissuto sempre all’ombra del potente marito. «Sai bene com’è fatto il papà. Non sopporta di stare male. Lui, una roccia, costretto a languire a letto. Lo giudica un insulto, se non una vera indecenza.»
La contessa sospirò. «Anche le rocce si sgretolano con il passare del tempo» mormorò. «E Dio sa quale esistenza travagliata e pericolosa abbia condotto il mio Oliver, sempre in alto mare a lottare con il nemico e con le tempeste.»
«Non sempre, maman. Il papà non ha combattuto senza sosta da quando è entrato in marina fino al momento della pensione, e capita spesso che il mare sia tranquillo. Ormai poi, è a riposo da tre anni e ha sicuramente smaltito le fatiche di un tempo. Dimmi, piuttosto, hai mandato a chiamare il dottor Carmichael?»
«Certo, figliola! Come puoi dubitarne?» rispose la madre con legittima indignazione. «È stata la prima cosa che ho fatto, apprendendo da Walter, il suo valletto, che Oliver aveva rifiutato di fare colazione, lui che di norma divora sei uova al prosciutto, pudding, formaggi e mezzo chilo di biscotti spalmati di marmellata appena apre gli occhi.»
«Non ti sembra una quantità eccessiva di cibo per una persona che ha il sangue troppo ricco?»
La madre le lanciò uno sguardo colmo di desolazione.
«Pensi davvero che io abbia il potere di costringerlo a contenersi?
Sarebbe come ordinare al sole di coricarsi anzitempo. Tuo padre è un uomo ammirevole sotto molti aspetti, ma è straordinariamente cocciuto quando si tratta di mortificare la gola.
Mi domandavo se... se tu non volessi tentare di entrare nella sua camera per augurargli il buongiorno. Sai che stravede per te. Forse gli farà piacere vederti.»
«Certo, maman. Se questo può tranquillizzarti, vado subito da lui.» Katy si chinò e posò un bacio sulla fronte della madre che ormai da due anni sovrastava in altezza tutta la testa. «A me le sue grida non fanno paura. Can che abbaia non morde.»
Sorridendo, bussò leggermente alla porta e l’aprì senza aspettare di essere invitata. Il padre giaceva nel suo letto sovrastato da un voluminoso baldacchino, la schiena posata contro una pila di cuscini, occhi e fronte nascosti da una benda imbevuta d’acqua fredda.
«Ancora tu, Emily?» Benché pacato, il tono conteneva una vibrazione metallica.
«Sono io, padre, Katherine. Vi disturbo?» mormorò la figlia, avanzando a passi silenziosi. Se alla madre le veniva naturale dare del tu, con suo padre le sembrava di rigore il voi.
La benda venne sollevata fino all’attaccatura dei capelli grigi e due occhi azzurro cupo penetranti come la punta di un fioretto la scrutarono un attimo, prima di illuminarsi.
«Katy, mia diletta!» Benché gioiosa, la voce era meno tonante del solito e il sorriso più stentato. «Vieni a salutare il tuo malandato genitore e aiutami ad aggiustare questi maledetti cuscini che mi si ammucchiano dietro la schiena.»
La figlia si affrettò a ubbidire e una volta sistemati i cuscini, baciò il padre sulla fronte.
«Ah, che delizia!» sospirò lui. «Le tue labbra sono più fresche di una rosa appena colta. Il mal di testa sta già diminuendo.
Ho passato una nottataccia, figliola. Non ho chiuso occhio.
Mi sembrava che la mia testa stesse per scoppiare.»
«Umori cattivi nel sangue, o pensieri cattivi per la mente?» domandò la figlia, sedendosi al suo capezzale.
«Entrambe le cose, temo. La situazione politica diventa sempre più grave. Gli Stati europei sono in grande agitazione. Sai che le truppe dello zar Nicola hanno invaso la Moldavia e la Valacchia? Quel pazzo visionario vuole assicurarsi uno sbocco sul Mar Nero e pensa che gli altri stiano a guardare.»
«L’ho letto sul giornale che ci portano tutte le mattine. Ma agitarsi è del tutto improduttivo, padre mio.»
«Hai ragione, naturalmente» riconobbe il conte, sospirando.
«È solo che la mia anima di soldato non può restare indifferente, o estranea agli eventi. Fremo all’idea di non poter indossare la mia divisa e salire sul ponte di comando. Meglio non pensarci.
Dimmi, piccola mia, quella santa donna di tua madre non avrà chiamato il medico, spero. Si precipita a convocarlo ogni volta che starnutisco. Mi vede già cadavere. Pensi che le sue previsioni siano azzeccate?»
Katy aggiustò la piega del lenzuolo. «Penso che la sua sia solo ansia ingiustificata, padre. Sapete com’è fatta la mamma.
Si angoscia per un nonnulla. È molto legata a voi e un vostro malessere, anche minimo, la getta nella costernazione. E... sì, avete immaginato bene. Ha mandato a chiamare il dottor Carmichael, ma... Non alteratevi, vi prego» lo esortò, vedendo che arrossiva di rabbia. «Altrimenti la pressione salirà. Tra l’altro sapete bene che seguirete solo i consigli che vi garbano, perciò sottoponetevi di buon grado alla visita e non maltrattate troppo il povero dottor Carmichael. È un uomo ligio al suo dovere e fa quello che può... Ma sento dei passi. Dev’essere arrivato proprio adesso.»
Infatti in quell’istante qualcuno bussò alla porta e Walter, il valletto del padre, annunciò il medico. Katy gli corse incontro, lo accolse con grazia e lo condusse al capezzale del malato che si era girato ostinatamente verso la finestra.
«Ebbene, come sta oggi il mio paziente preferito?» domandò il medico, posando sul letto una grossa borsa nera contenente tutti i suoi strumenti e rivolgendo al conte uno sguardo colmo di riprovazione.
Oscar Westmoreland si voltò di scatto con aria truce. «Male, per farvi contento e... non chiamatemi il vostro paziente preferito, caro dottore. So benissimo che mi detestate.»
Il medico non si scompose. Gli tastò il polso, consultando l’orologio da taschino. «E voi non chiamatemi caro, visto che mi vedete come il fumo negli occhi.»
«Ottimo inizio. Un terreno di parità favorisce una battaglia equa, egregio dottor Carmichael. E adesso che ci siamo scambiati le prime bordate, andiamo al sodo: morirò?»
«Ne dubitate?» rispose il medico, abbassandogli le palpebre inferiori. «Sarebbe insolito il contrario, milord. Siamo destinati tutti a morire, chi prima, chi dopo, dipende da come trattiamo la carcassa che ci portiamo addosso.»
Presagendo l’arrivo di una disputa feroce, Katy sgusciò fuori dalla stanza, scuotendo la testa. Ogni volta che suo padre stava male, si verificava una scena come quella, una sorta di teatrino in cui gli attori si muovevano recitando il proprio ruolo, ben sapendo che la fine sarebbe rimasta invariata.
La visita durò poco meno di mezz’ora e quando, uscendo dalla stanza, il buon medico si vide circondare da madre e figlia, scosse la testa. «Paziente difficile, il commodoro» sospirò.
«Come del resto tutti i militari. Per loro ogni malanno è un nemico da sgominare a cannonate. Vostro marito, milady, è avvezzo a comandare i suoi uomini e vorrebbe imporsi agli acciacchi, semplicemente impartendo un ordine. Non segue le mie indicazioni. Mangia e beve troppo e il suo sangue si scalda.
Gli ho applicato delle sanguisughe che lo aiuteranno a smaltire l’eccesso di liquidi e di umori, ma dovrebbe stare a dieta. Per adesso tè e brodo leggero, mi raccomando.»
«Lo so bene, lo so bene, caro dottore, che mio marito dovrebbe moderarsi, ma quando ha fame, sottrargli anche solo un tozzo di pane rappresenta un’impresa rischiosa» mormorò la contessa, disperandosi. «Credete che si riprenderà?»
Il medico si diresse verso la scala. «La crisi sarà superata, ma ne seguiranno altre, se non cambierà registro e alla fine una potrebbe rivelarsi fatale. Il corpo umano necessita di cibo come le piante d’acqua. Annaffiatele troppo e marciranno, Ingozzateli troppo e... scoppieranno.»
«Scoppieranno...?» La contessa Emily impallidì e i suoi occhi si colmarono d’orrore davanti alla visione del grande corpo di suo marito che esplodeva in milioni di pezzi sanguinolenti. «Se succedesse una catastrofe simile, non ci resterebbe niente da seppellire» mormorò, desolata, con un filo di voce.
Il dottor Carmichael, un ometto basso e rotondo, ma robusto come un toro, scambiò uno sguardo con Katherine, poi alzò gli occhi al soffitto. «Non dovete prendermi alla lettera, milady.
Il mio era solo un modo di dire. Temo però d’aver usato un’espressione infelice. Nessuno dei miei pazienti è mai esploso, ve lo assicuro. Intendevo dire che il troppo stroppia, ecco tutto.
Chi esagera finisce per pagarla a caro prezzo. Insomma, per farla breve, tira le cuoia.»
«Tira le cuoia?» ripeté la contessa, frastornata e ormai fuori di sé. Nessuno in famiglia, che lei sapesse, era stato un conciatore di pellami.
«Maman, significa passare a miglior vita» intervenne Katherine con dolcezza.

«Capisco.» La madre si fece un rapido segno della croce, poi fingendo di appoggiarsi alla maniglia della porta, toccò ferro.
Il medico ne ebbe abbastanza. Ogni volta che veniva chiamato in quella casa si sentiva coprire di sudori freddi. Il capofamiglia era intrattabile, sua moglie a dir poco svanita come una bottiglia di vino lasciata aperta. L’unica che mostrasse d’avere un po’di buonsenso era la figlia, una bellezza davvero rara, dato l’incrocio poco promettente da cui era stata generata.
Misteri della vita. «Bene» concluse, scendendo la scala. «Tenetemi informato, milady e... chiamatemi se proprio lo riterrete necessario.»
Due giorni dopo le sanguisughe avevano compiuto la loro opera di drenaggio e il conte Westmoreland era di nuovo in piedi, battagliero come sempre.
«Oggi verrà a trovarmi un caro amico, l’ammiraglio James Stafford, duca di Glemingstone» annunciò a pranzo, guardando con disgusto una tazza di brodo in cui galleggiavano alcuni pezzetti di pollo anemico. «Lo riceverò nel mio studio.
Abbiamo delle questioni importanti e urgentissime da discutere.»
«Urgentissime, mio caro?» domandò la moglie sbirciandolo di sottecchi.
«L’urgenza è strettamente correlata alle tue divinazioni, moglie mia. Prevedi qualche catastrofe imminente?»
La contessa impallidì e di nascosto strofinò un piccolo ciondolo a forma di ferro di cavallo che portava al polso. «Dio ce ne liberi, Oliver. Ti prego, non chiamiamo le disgrazie. Sanno arrivare benissimo anche senza invito.»
Katherine che sedeva a metà del lungo tavolo, tra i genitori che occupavano i lati più corti distanti sei metri tra loro, abbassò la testa per non tradirsi. Sapeva che la madre era molto superstiziosa e il fatto che suo padre la prendesse in giro in parte la divertiva, in parte le sembrava un tantino crudele.
La sua povera mamma tremava di terrore se rovesciava il sale, l’olio o, Dio non volesse, rompesse uno specchio. Ubbie, certo, che tuttavia influenzavano il suo umore e che in lei confluivano serenamente in una fede incrollabile nel Padreterno.
Come si potesse credere che un bottone allacciato storto avrebbe causato un incidente, le riusciva impossibile da capire.
Tuttavia, accorgendosi che il suo corpetto era abbottonato male, Katy si sentì prendere da una vaga inquietudine.
Alle tre in punto di quel pomeriggio, un’elegante carrozza scura guidata da un cocchiere in livrea color amaranto si fermò davanti a Westmoreland House. Il maggiordomo, Mr Cunnigham corse ad aprire il portone e Katy, appostata dietro una finestra del pianterreno, aspettò di veder apparire quell’importante personaggio che suo padre ammirava incondizionatamentemnte e stimava come amico.
Sapeva che l’ufficiale di marina era tenuto in alta considerazione dalla Corona e che in passato si era distinto per il suo valore. Fu quindi con curiosità che vide spalancarsi uno sportello e balzare a terra un giovane ufficiale in divisa che si affrettò a porgere il braccio a un uomo alto e magro, con una chioma color ferro e un volto che sembrava inciso nella pietra.
Katy lo osservò un istante, poi tornò a spostare lo sguardo sul tenente di vascello e il respiro le mancò.
Elegante, alto e snello nella sua divisa blu scuro, capelli nerissimi tagliati corti e occhi di un colore indefinibile sotto l’arco perfetto delle sopracciglia corvine, era il giovane che incontrava nei suoi sogni, il più bello che avesse mai visto.
Il suo cuore prese a battere all’impazzata mentre dilagava in lei un senso d’irrealtà che la costrinse a sbattere le palpebre per mettere bene a fuoco lo sguardo. No, non si era ingannata.
Quel giovane ufficiale era reale quanto il severo Mr Cunnigham che stava aprendo la porta, come l’erba che cresceva nelprato. Non era una proiezione della sua fantasia. Era la concretizzazione del suo sogno. Un uomo vero, in carne e ossa, di stupefacente bellezza.
Era il giovane che aveva vagheggiato nelle sue fantasie dibambina e di adolescente, colui che aveva immaginato sussurrarle parole d’amore, accarezzarle la mano e... baciarla.
Quante volte si era domandata come sarebbe stato il suo primo bacio. Esitante, tenero, riluttante o... appassionato? Nei libri che di nascosto aveva sottratto dagli scaffali della libreria del padre aveva letto di passioni travolgenti, di attrazioni irresistibili, di grandi amori. Amori che davano un senso compiuto alla vita, che spiegavano quel senso di palpitante attesa che provava da tempo.
Aveva letto d’incontri che segnavano il destino di giovani donne. Di attimi fugaci che tuttavia determinavano il cammino di una vita... o aprivano la strada verso la morte. Ma anche la morte diventava sublime tra le braccia dell’amato. Non l’avevano scritto i grandi poeti parlando di Giulietta e Romeo, di Paolo e Francesca, di Tristano e Isotta, di Lancillotto e Ginevra?
Sarebbe toccata anche a lei un’esperienza così esaltante, lo sentiva.
Doveva solo aspettare, si era detta e adesso... Lui, il suo principe azzurro, il cavaliere che al posto di un’armatura indossava una divisa, era venuto a risvegliarla dal torpore, a dirle che la sua vera vita stava per cominciare.
Katy si riscosse. Che cosa andava fantasticando? Non era più una bambina assetata di favole e non era mai stata un’esaltata, o una mitomane. Fin da piccola era stata dotata di quel senso pratico che difettava a sua madre e adesso che era quasi una donna, sapeva... sapeva che i sogni è raro che si avverino, che la vita non è un percorso facile, una lunga corsa in un prato fiorito.
Forse quel giovane affascinante aveva una voce stridula, l’alito cattivo e dei modi sgradevoli. Forse era un uomo prosaico, avido di piaceri terreni, un ambizioso, teso solo a fare carriera anche a costo di calpestare chiunque. Forse dentro quel suo torace ampio e muscoloso c’era un cuore piccolo e meschino...
Mentre lo guardava avanzare, arretrato di due passi rispetto all’ammiraglio, i loro sguardi s’incrociarono e prima che Katy potesse nascondersi dietro la tenda, notò che gli occhi del giovane avevano il colore del muschio che cresce nei boschi ombrosi e avevano una luce intensa come se la sua anima splendente, affacciandosi all’esterno, gli conferisse una luminosità particolare.
Il respiro le mancò, il cuore le salì in gola e un pensiero esaltante le passò nella mente. Oh, no, quel giovane non poteva essere meschino. Ne era certa. In lui c’era... c’era l’immensità.
C’era generosità, onestà, gioia, follia, passione, tormento ed estasi.
Oh, poter conoscere quell’ufficiale così attraente! Frugare nel suo animo e scoprire i tesori che sicuramente racchiudeva, i soli che desiderasse avere. Ma il galateo le imponeva di tenersi in disparte e di non intralciare l’arrivo dell’ospite tanto atteso.
Tuttavia, mentre i due uomini salivano la breve scalinata e Mr Cunnigham chinava il busto in posa deferente, ubbidendo a un impulso irresistibile, Katy uscì rapida dal salotto e attraversò l’atrio diretta verso le cucine, dosando il passo in modo da incrociare una volta ancora il bell’ufficiale di marina.
Ci fu solo un breve scambio di sguardi, poi il giovane si defilò dietro il suo comandante, mentre l’ammiraglio, colpito dalla visione della fanciulla che si era affrettata a scomparire, si fermò un istante. Le sue labbra dal taglio severo abbozzarono un vago sorriso, poi l’alto ufficiale riprese il cammino, seguendo Mr Cunnigham che apriva la strada verso l’ufficio del padrone di casa.
Arrivata dietro la porta che immetteva nelle cucine, Katy si appostò di nuovo. Attese qualche istante, poi fece capolino. Il giovane ufficiale, rigido sull’attenti, era a guardia della porta dietro la quale il suo comandante era scomparso.

Un semplice accompagnatore, quindi, una sorta di attendente, pensò Katy, ma, Dio, com’era bello! Tornò a guardarlo e questa volta lui si voltò e la vide.
Se non fosse stata colta da una paralisi, Katy si sarebbe ritirata come un topo davanti a una trappola invitante ma pericolosa, ma non riuscì a muoversi se non quando si accorse che il giovane inclinava appena la testa e le sorrideva.
Il suo era appena l’accenno di un sorriso, una specie d’invito segreto a credere nei miracoli, a non opporsi al fato, bensì a gioire del dono inatteso che faceva a entrambi.
Katy ebbe l’impressione che lui le avesse lanciato una liana invisibile, avvolgendola in modo tale da imprigionarla per sempre.
Tremò come per un presagio e a quel punto, confusa ed emozionata, si rifugiò dentro la dispensa e si prese il viso tra le mani. Era sconvolta, rossa di vergogna, arrabbiata con quella parte di sé stessa che si era sempre nutrita di romanticismo e ansiosa di riprendere contatto con la realtà, dopo aver sognato a occhi aperti per un istante che era durato un’eternità.
 

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