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L'angolo della fanfiction
L’amore e la passione secondo Silia
di Telenad
"L'amore e la passione secondo Silia" si collocherebbe all'interno del romanzo e nasce dalla voglia di esternare quanto questo personaggio sia complesso, affascinante e assolutamente non incompatibile con l'epoca storica... in fondo, se c'è stato un progresso nella condizione femminile, è anche grazie a certe donne straordinarie e agli uomini che le hanno amate in quanto tali.
Erano stati dei passi a destarla. Passi che si erano fermati davanti alla porta chiusa da Malius con tanto fragore la sera prima. Silia aveva l’impressione che tutta la stanza pulsasse al ritmo furioso del suo cuore. La porta si aprì e dopo qualche istante si richiuse, quasi senza rumore.
La ragazza non si mosse. Restò immobile lottando contro se stessa per mantenere il respiro regolare e il corpo morbidamente rilassato come nel sonno mentre tutto il suo essere fremeva di aspettativa. Ben presto però non ne potè più così balzò a sedere sul letto, il lenzuolo stretto contro il seno e gli occhi ansiosi a frugare la stanza… vuota. Manlius l’aveva creduta addormentata e non era entrato.
Un altro inganno perpetrato ai danni di Manlius e lui non lo meritava.
Come non meritava che la sua casa fosse infestata da infide vipere. Una fidanzata dalla doppia natura, una serva intrigante dalla menzogna facile e fin troppo credibile e qualcuno nell’ombra che tramava insospettato ai danni dei Tarsia, ma anche dei Rosetum. Per quello era lì, per scoprire gli inganni, prevedere i tranelli, non per altro.
Balzò in piedi, scostò le coltri e scrutò il letto. Eccole lì, due minuscole macchioline, uno sguardo poco attento non le avrebbe viste. Si toccò, raggiunse il bacile dell’acqua e con uno straccio si pulì. C’era appena un’ombra rossastra, nessun dolore, nessun disagio, a parte il fremito nel petto al ricordo, e la vergogna, il rimpianto, di averne fatto una questione di orgoglio, di aver voluto trasformare un atto d’amore in una sfida. Si sentì mancare, il groppo alla gola le tolse il respiro ma poi colse la propria immagine riflessa nel grande specchio d’argento.
Era un oggetto lussuoso e stupendo, la superficie della lastra però non era perfetta e rimandava un’immagine appena un poco deformata ma, innegabilmente, era un’immagine di donna. Lo straccio cadde dimentico a terra e le mani di Silia percorsero lievi il contorno dei seni e dei fianchi vedendoli con gli occhi di un uomo, gli occhi di Manlius, e si fermarono lì a incorniciare il simbolo della sua femminilità. E capì. Capì appieno il potere della seduzione che fino a quel momento aveva esercitato inconsapevole, comprese come e perché, in quel mondo dominato da uomini temerari e forti, quella fosse l’unica arma per una donna. Era però anche il dono più grande che una donna potesse fare al suo uomo. E Manlius era il suo uomo, doveva solo fargli comprendere che lei era la sua donna.
Nessuno prima e nessun altro dopo. Fu con questa disposizione d’animo che Silia infine si risolse a cercare i propri abiti per indossarli.
C’erano anche altri doni che poteva fare a Manlius, oltre al suo corpo. Avrebbe messo tutta se stessa al suo servizio, tutto il suo intuito e tutta la sua determinazione. Voleva salvare Aureliano, certo, smascherare chi cospirava contro la pace, d’accordo, ma voleva anche riabilitare il nome dei Rosetum agli occhi di tutte le genti di Tarsia. Voleva che tutti la considerassero degna del loro signore, degna di diventarne la sposa… se lui avesse voluto. Non che dubitasse di esserlo, ma sapeva che la tempra di Manlius non gli avrebbe consentito di prescindere dai suoi doveri sposando una donna non all’altezza delle aspettative delle sue genti, ne lei l’avrebbe voluto.
Lo amava perché era quello che era.
Come fosse accaduto e perché, non aveva importanza. Gli avrebbe dato tutta se stessa, si sarebbe fatta amare… balenò all’improvviso il ricordo della parole dure di lui.
Sono altre le donne che parlano ai miei sensi.
Di nuovo si sentì mancare ma Silia si rifiutò di farsi sommergere dal pessimismo, usò tutta la sua forza di volontà per scacciare la grigia sensazione di impotenza che minacciava di travolgerla. D’accordo, non sarebbe stato facile farsi amare per come era ma ci avrebbe provato. Non avrebbe lasciato nulla di intentato c’erano troppe cose in gioco, troppe vite. Era abituata a lottare, quelli in cui viveva non erano tempi facili per una donna, dubitava ce ne fossero stati in passato e probabilmente non ce ne sarebbero stati mai in futuro. Silia era fortunata, e lo sapeva, perché la sua famiglia non era una di quelle bigotte che si conformava alle consuetudini, qualunque esse fossero, subendole passivamente, i Rosetum mettevano in discussione tutto, ragionavano su tutto e alle volte agivano anche d’impulso seguendo il cuore e basta.
Non tradire te stessa, tutto il resto s’aggiusta.
Le parole di sua madre, il motto stesso della famiglia, le diedero una forza improvvisa e così portentosa da farla quasi ridere. Sì, Aureliano aveva agito d’impulso seducendo la promessa sposa di Manlius, lei stessa aveva agito d’impulso abbandonandosi alla passione con un uomo che nelle parole se non nei gesti la disprezzava, adesso era ora di mettere le cose a posto.
Era pronta. Si guardò nel grande specchio apprezzandosi. Aveva notizie decisive per scagionare Aureliano, ma non poteva comunicarle a Manlius direttamente, temeva non fosse obiettivo. Il fratello di lui pareva esserlo ancora meno, inutile tentare con il vecchio conte, e anche con il nubiano… rimaneva Yusuf. Fece un respiro profondo e si avviò alla porta, esitò appena prima di aprirla con un gesto deciso.
Ritorno a Tarsia
di Veronica Bennet
"Ritorno a Tarsia" è un omaggio al piccolo Livio, un personaggio che ha suscitato in me una forte curiosità e un infinito interesse. Il mio Livio però è un uomo adulto, un mercenario al servizio del Re e il suo ritorno è soltanto una breve apparizione, necessaria per comunicare una cattiva notizia. Ma il destino talvolta è beffardo e un incontro molto particolare farà vacillare le sue certezze.
Anno 1152
Il cavaliere tirò leggermente le briglie e il cavallo sollevò la testa sbuffando irrequieto. Il suo volto, segnato da una lunga cicatrice e incorniciato da una folta barba scura, tradì un sorriso.
Il castello di Tarsia dominava l’intera vallata. Sotto l’ultimo scorcio di sole la sua ombra si allungava fino alla foresta.
L’uomo si guardò intorno accarezzando con lo sguardo le colline selvagge e i declivi circostanti. Erano passati molti anni e non sapeva se i signori di Tarsia lo avrebbero accolto con gioia, ma non era venuto per restare.
Il suo compito era portare al conte Manlius la notizia della morte di Yusuf Hanifa, dopodiché sarebbe ripartito alla volta della Germania, pronto a combattere per il suo nuovo re: Federico I di Svevia.
L’uomo sorrise di nuovo.
Yusuf era stato buono con lui.
Lo aveva strappato alla carovana di nomadi alla quale si era aggregato allevandolo come quel padre che non aveva mai avuto. Se ora era un soldato, esperto nella lotta e valoroso in battaglia il merito era solo di quell’ostinato saraceno. Con infinita pazienza gli aveva insegnato a coltivare l’anima e ad amare il prossimo con giustizia e lealtà, dimostrandogli che anche un cuore nero come il suo era in grado di cambiare.
Ma quell’uomo pieno di virtù e capace di curare ogni tipo di ferita non era stato capace di vincere la sua sfida più importante. Un male sconosciuto lo aveva prosciugato delle sue forze, rendendolo sempre più debole fino a condurlo alla morte.
Nella sua mente frammenti di ricordi si fecero spazio con irruenza, riportandolo all’ultimo giorno trascorso a Tarsia.
Gli sembrava ancora di vederla.
Silia, dagli occhi leali e dalla voce gentile. Bellissima nell’abito rosso e i capelli sciolti sulle spalle. Una regina che aveva lottato contro tutto e tutti pur di sposare l’uomo che amava.
Il cavaliere si toccò istintivamente una coscia con la grande mano callosa.
Un giorno Silia gli aveva detto che andare a cavallo avrebbe irrobustito la sua gamba e così era stato. Il costante cavalcare insieme agli intensi allenamenti di Yusuf si erano rivelati un'ottima cura. Ora le sue gambe erano forti e quella più corta non gli impediva di essere veloce e scattante come qualsiasi altro soldato.
“Livio il tenace” come lo chiamava spesso Yusuf, non era più un bimbetto fragile attaccato alle gonne della sorella, ma un vero uomo.
Il volto di Amelina, ormai sbiadito dal tempo, si affacciò nella memoria per poi sparire subito. Non aveva mai pianto la sua morte, così come non gli si era mai affezionato quando era in vita. Un rumore lo strappò alle sue riflessioni.
Livio si voltò appena. Con la mano afferrò l’impugnatura della spada assicurata al suo corpo. I muscoli tesi, i sensi all’erta, pronti all’attacco se fosse stato necessario.
Gli alberi della foresta si strinsero tra loro fino a creare una fitta rete di chiaroscuri. Accarezzata dalle luci del tramonto, una piccola figura cavalcava con leggiadria un palafreno dal manto marrone.
Quando si accorse della sua presenza, l’amazzone rallentò la sua corsa fino a fermarsi a poca distanza da lui.
Livio si ritrovò a fissare due grandi occhi grigi che si facevano spazio in un viso dalla pelle candida e contornato da una setosa chioma di capelli corvini. Era giovane e incredibilmente bella.
Domandarsi chi fosse non fu necessario.
Yusuf aveva ricevuto la notizia della nascita di Costanza di Tarsia così come quella dei due gemelli, Pietro e Grimaldo, nati poco dopo.
«Voi dovete essere Costanza» disse allontanando la mano dalla spada.
Lo sguardo di lei si accese di stupore e perplessità. «Chi siete? E come potete dirlo, dal momento che non mi conoscete?»
«Sono un soldato al servizio del re. Il mio nome è Livio e voi siete il ritratto di vostra madre.»
Quelle poche parole bastarono a suscitare il suo interesse. La giovane spronò il cavallo e si avvicinò scrutandolo attraverso i suoi occhi d’argento.
«Avete ragione, lo affermano in molti» ammise sorridendo. «Perché siete qui? Che cosa vi porta a Tarsia?»
Livio esitò un istante. Non era certo di poter parlare liberamente. La morte di un uomo non era un buon argomento di conversazione.
«Devo parlare al conte, vostro padre.»
Costanza sembrò soppesare il significato delle sue parole. Un’ombra di preoccupazione velò il suo bel viso.
«Mio padre non ha più l’età per combattere. Se siete venuto per richiamarlo alle armi potete anche andarvene.»
Livio sorrise.
Manlius di Tarsia era un uomo fortunato ad avere una figlia così bella e devota, tuttavia la primogenita non conosceva la reale forza del padre. Un guerriero come lui sarebbe stato in grado di combattere anche sul letto di morte.
«Non temete, non si tratta di questo. Il messaggio che gli porto riguarda un suo vecchio amico.»
Lo sguardo di Costanza si addolcì un poco.
«In questo caso vi porgo le mie scuse e vi invito a seguirmi al castello. Mio padre è a caccia con i miei fratelli ma ormai saranno sulla via del ritorno. Nell’attesa potrete far riposare il vostro destriero e godere della compagnia di mia madre di fronte ad un lauto pasto.»
Livio inclinò la testa in segno di ringraziamento e affiancò il cavallo al suo.
Gli unici rumori lungo il sentiero che attraversava la radura erano il rimbombare degli zoccoli sulla ghiaia e il cupo tintinnare della sua spada.
La stanchezza del viaggio sembrava svanita di colpo. I suoi pensieri, così come i suoi occhi, erano rivolti unicamente alla nobile Costanza.
La giovane cavalcava a pelo con la stessa abilità di un uomo, eppure il suo portamento era elegante e femminile. La schiena eretta, le spalle dritte e le mani delicatamente appoggiate sulle briglie, come se stessero trattenendo una ghirlanda di fiori. Livio scosse la testa. Non era nuovo ai rapporti con le donne, ne aveva avute molte, ma nessuna vantava una simile bellezza. All’improvviso Costanza si voltò verso di lui accennando un sorriso.
Il suo cuore prese a galoppare velocemente e per la prima volta nella sua vita Livio si sentì in imbarazzo. Rimproverandosi per quella debolezza riportò lo sguardo sul sentiero decidendo che si sarebbe trattenuto soltanto il tempo necessario per compiere il suo dovere. Non aveva mai considerato Tarsia come la sua casa eppure quel piccolo sorriso, tenero e struggente, era bastato ad azzerare le sue difese. In quel breve istante la sua mente si era spinta verso un futuro che non poteva permettersi di sognare.
Le sue umili origini avevano il potere di riportarlo alla realtà. Era il fratello di una serva e nessuna donna di nobile lignaggio lo avrebbe visto con altri occhi.
«Artemio si prenderà cura del vostro cavallo.»
La voce di Costanza lo risvegliò.
Avevano appena attraversato il ponte levatoio e uno scudiero attendeva le sue briglie con la mano alzata.
Con un balzo Livio si lasciò scivolare a terra. Sotto il suo peso la gamba cedette leggermente ma non gli impedì di rimanere in piedi.
Quando sollevò il viso, il suo sguardo incontrò quello di Costanza. L’espressione intelligente di chi sapeva leggere il silenzio.
Con gentilezza lo invitò a seguirla nella sala d’arme.
Il castello non era cambiato. Erbe odorose ricoprivano il pavimento mentre arazzi raffiguranti scene di caccia erano appesi lungo le pareti. I candelabri già accesi gettavano luce in ogni angolo del corridoio.
La grande porta di legno del salone era aperta e nell’udire la voce di Silia Livio si fermò. Le braccia rigide lungo i fianchi.
Era più teso di quanto immaginava.
Costanza lo raggiunse e gli afferrò una mano stringendola tra le sue. I suoi occhi brillavano di una luce rara, viva come il metallo da cui viene forgiata una spada.
«Soltanto quando siete sceso da cavallo ho capito chi siete. Mia madre mi ha parlato spesso di voi, con grande ammirazione.»
Livio deglutì a fatica, sorpreso da quel gesto così intimo.
Ogni incontro della sua vita non era mai avvenuto per caso, guidandolo sempre nella giusta direzione. Forse anche quella giovane donna era un segno del destino.
La sua ferma convinzione di lasciare Tarsia cominciò a vacillare.
Tra i pensieri confusi si fecero strada le parole che Yusuf gli ripeteva sempre nei momenti d’incertezza.
“Il futuro trova ragione solo in qualcosa che è vivo nel presente”.
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