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Home | Sotto i riflettori: Valentina Misgur

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Sotto i riflettori: Valentina Misgur


L'autrice

Valentina Misgur è nata ad Alessandria il 13 luglio 1970. Ha studiato Architettura a Genova, dove ha vissuto per dieci anni. Nel 2002 ha vinto il concorso “Il mito del viaggio”, organizzato dalla Fondazione Grinzane Cavour, da La Repubblica e dal quotidiano argentino El Clarin.
Nel 2007 è arrivata finalista al “Premio Calvino”.
Nel 2008 ha pubblicato “Trovami un giorno”, Edizioni EL, con cui ha vinto il premio “Il gigante delle Langhe” ed è stata finalista al “Premio Insula Romana” di Bastia Umbra.
Attualmente si occupa di narrativa, architettura e progetti culturali. Vive a Bologna con il suo gatto Elicottero. Sommando tutte le estati che ha passato nell’Egeo, ha vissuto in Grecia per quasi tre anni.

Il libro

E’ la storia di due ragazzi che hanno il primo approccio non protetto con la vita, senza la mediazione della famiglia o del gruppo di amici. Oltre ai due ragazzi c’è un terzo personaggio, Pietro, un vecchio pescatore, che i ragazzi trovano come trovano l’isola e la torre in cui abiteranno per un mese.
Ma Pietro non è l’isola e la torre, non è immutabile solo perché è vecchio; è un personaggio vivo, e a modo suo cresce durante tutto il mese di convivenza con i ragazzi, proprio come crescono Filippo ed Elisa. E la cosa interessante per me è stata questa: osservare che l’impulso ad essere liberi non sparisce, ma si manifesta in modo diverso a età diverse. Così come il cambiamento delle persone è continuo, ma prende diverse forme nei vari periodi della vita.  Non è una storia d’amore, eppure è una storia d’amore.

Trama

Elisa e Filippo hanno diciassette anni e si incontrano sul traghetto che li sta portando verso un’isola, un’isola che ha un significato speciale e segreto per ognuno dei due.
Entrambi scappati di casa, iniziano la loro vita da fuggitivi trovando riparo in una torre abitata dal vecchio pescatore Pietro e dal suo cane Ulisse. Il vecchio si offre di ospitarli in cambio di un aiuto in casa e in barca. Come un maestro zen, non spiega nulla ma pretende molto.  I ragazzi intuiscono che in Pietro c’è qualcosa di diverso. Anche lui nasconde qualcosa. Ogni notte i ragazzi, soli e incerti sul loro destino, si rifugiano sul tetto della torre, dove si scambiano racconti e segreti. Capiscono cosa li ha portati sull’isola. Sono quasi felici.  Fino al giorno in cui tutto cambia all’improvviso.

Contatti autrice: 
email:  vmisgur@email.com
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Contatti acquisto libro:
Il libro si trova in tutte le principali librerie (Feltrinelli, Fnac, Melbookstore, Mondadori, ecc..)
Se preferite potete comprarlo online:
Ibs   
Amazon 
 

 

Estratto dal libro “Trovami un giorno”

Nel posto in cui vivo io, il mare c’è sempre stato.
Nel Paleozoico, c’era il mare. Nel Mesozoico, c’era il mare. Nel Cenozoico, c’era il mare.
Da quando sono nata, il mare continua a esserci, ma si è ritirato di circa cinque chilometri. Ha avuto paura.

L’ho sempre dominato. Quando avevo tre o quattro anni mio padre mi portava in spalla nell’uliveto di Cà du Dria. Lo chiamavamo “andare al mare”.
C’era un ulivo che era il mio. Si chiamava Elisa, era molto più vecchio di me. Prima della mia nascita non aveva nome. Quando l’ho saputo sono stata felice di dividere il mio con lui.  Alla base dell’albero c’era una radice piatta e larga. Mi sdraiavo a pancia in giù. Il legno era caldo, e le sue curve corrispondevano alle mie. Se tenevo la testa bassa, con il mento appoggiato alle braccia incrociate, la terra spariva. Vedevo qualche roccia, e poi il blu. Avvistavo le barche. A volte erano città galleggianti, pezzi di costa che prendevano il largo. A volte erano triangoli bianchi. Conoscevo il suono dei venti. Distinguevo il levante dalla tramontana. Sentivo gli schizzi sulle braccia, bagnati e salati, il profumo dell’acqua. Tendevo le orecchie agli schiocchi delle sartie. Socchiudevo le palpebre e selezionavo  l’orizzonte.  Potevo stare lì ore. Ci stavo ore, fino a che mio padre mi scuoteva per un piede gridando “Giù dalla coffa, marinaio”, e mi sollevava di nuovo sulle sue spalle.
Il mare tornava lontano cinque chilometri. Io tornavo una bambina di quattro anni.
Ma lo sapevo: era solo un appuntamento rimandato.

C’è un ragazzo, qui sul ponte. Non sta dove stanno gli altri, attaccati al parapetto di prua con gli occhi conficcati nell’acqua, a cercare una terra che al momento non si vede.  E' appoggiato di schiena alla cabina. Vicino a me. Io tengo un libro sulle gambe, ogni tanto fisso le righe, ma ho il cervello muto e non posso fare a meno di guardarlo. E’ alto e magro. Parla al telefono. A ogni folata di vento si piega in due, protegge il microfono con la mano lunga e sottile. Ha i pantaloni corti. Quando si muove il suo ginocchio sfiora il mio gomito. Ho detto che parla, ma grida al telefono, per vincere sul motore e sul vento. Io fingo di essere Elisa l’ulivo. Non ci si imbarazza, a parlare di fianco a un albero.
Dice:
Sono sull’autobus.
Sì, mamma. Era spento. Ho poca batteria. E poco campo.
Tra mezz’ora sono a casa. Quaranta minuti al massimo.
Sono già passato a ritirare le fotocopie.
Ho appena visto lo zio. L’ho lasciato al garage.
Siamo d’accordo.
Ci andiamo domani.
Sì, mamma. Per cena ci sono. La pasta va bene. Va bene anche il riso. E’ lo stesso. D’accordo. Ti prendo le uova.
Adesso fammi andare che devo scendere.
Chiude il cellulare, a scatto. Fa tre passi veloci verso il parapetto, piega il braccio destro all’altezza della spalla e lancia il telefono in un punto del mare senza onde dove mi sembra di sentirlo fare pluf anche se è impossibile.

Così ho conosciuto Filippo.
Non potevo che seguirlo.

 

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