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Per volere di Sua Maestà/The Elusive Bride
Primo romanzo della serie Bride. Il secondo romanzo "L'arpa e la spada" (Border bride) ha come protagonista Con ap Ifan.
Nell’Inghilterra devastata dalla guerra civile fra i sostenitori dell’imperatrice Matilde e i seguaci del re Stefano di Blois, la bella e intraprendente Cecily Tyrell, fedele suddita dell’imperatrice, è disposta a tutto pur di salvare il suo castello e le persone che vi abitano. Anche a sposare il demonio in persona. E se le voci che corrono sono vere, Rowan DeCourtenay, il tenebroso cavaliere che Matilde ha scelto per lei, potrebbe essere davvero l’incarnazione del male. Ma il loro amore, nato come un’avventura, trionferà sulle calunnie e si rafforzerà nella reciproca fiducia, sconfiggendo tutti i demoni e i fantasmi del passato.
Ho terminato la lettura di questo romanzo con enorme fatica.
Forse "Per volere di Sua Maestà" (primo titolo della serie "Bride" di Deborah Hale) è un libro che ha maggiore probabilità di piacere alle lettrici che apprezzano in primis una trama avventurosa, anche al punto da chiudere un occhio sulle caratterizzazioni.
A mio modesto avviso, invece, la qualità di un romanzo dipende soprattutto dalla resa e cura psicologica dei personaggi ed il mio giudizio su questo lavoro della Hale non può che essere un pollice verso.
Fin dalle prime pagine si ha la sensazione di non avere tra le mani un romance che può fare la differenza. Nonostante il prologo, dov'è narrato il primo incontro trai due protagonisti, sia un pezzo indubbiamente delizioso, si avverte comunque subito l'impressione di "già visto, già sentito": abbiamo il nobile crociato dall'oscuro passato, la fanciulla in convento graziosa, vivace, ribelle e femminista ed il matrimonio voluto dalla Corona. Un niente di nuovo che, però, a parer mio non pregiudica la possibile riuscita di un romanzo: secondo me, anche su temi già noti si può comunque realizzare un gioiellino. Ma non è il caso di quest'opera, che ho trovato anche al di sotto dei classici lavori di maniera.
Tasto dolente, ripeto, i personaggi e, soprattutto, il protagonista maschile. Ho avuto la sensazione che l'autrice abbia un po' giocato all'apprendista stregone: una caratterizzazione che, sicuramente, nelle sue intenzioni doveva essere profonda e tormentata le è sfuggita di mano in un risultato tremendamente sui generis.
Il nostro eroe, Rowan DeCourtenay, lungi dall'essere l'incarnazione del bel tenebroso, affascinante anima persa pure sospettata di uxoricidio, a me è sembrato semplicemente avere la solidità emotiva di un budino e necessitare urgentemente di un bravo terapista: un egoista lagnoso della peggior specie, perché Rowan dall'inizio alla fine del romanzo pensa sempre e soltanto a sé stesso. Probabilmente nelle intenzioni dell'autrice voleva esserci il tema della redenzione morale prima cercata inutilmente dall'eroe nella guerra santa (sebbene Rowan dimostri a più riprese la psicologia e capacità belliche di un colleggiale, altro che veterano), ma soltanto conseguita nell'amore dell'eroina. Un tema molto delicato e complesso che la Hale svilisce superficialmente (e fastidiosamente) in un protagonista malriuscito. Rowan non mi è piaciuto perché non c'è nulla in lui che lo renda in qualche modo attraente: né carisma, né temperamento, né dolcezza. Il tormento interiore, che dovrebbe essere la sua cifra distintiva, lo rende ossessivo, sbilanciato e goffo.
La protagonista femminile, Cecily Tyrell, è sicuramente un personaggio più riuscito (non che ci voglia molto). Allegra, impulsiva e diretta è una figura molto fresca. Il suo carattere eccessivamente femminista ed indipendente (pure troppo considerando l'ambientazione medievale) trova comunque una sua giustificazione nel fatto desiderasse l'affetto del padre e volesse vincerlo mostrandosi capace quanto i suoi fratelli maschi. Non capisco perché la Hale non l'abbia resa anagraficamente più giovane: avrei trovato il personaggio storicamente più realistico (e soprattutto coerente con i suoi comportamenti ed ingenuità) come adolescente che non come ventitrenne.
Anche la narrazione presenta delle ingenuità che mi stupisco un editore non abbia corretto: sebbene possa sembrare audace ed astuto lo stratagemma con cui Cecily fugge dal suo castello assediato all'inizio del romanzo, nessuno per quanto disperato indosserebbe mai gli stracci di un lebbroso morto! "Non uccidere" poi a me risulta sia il quinto comandamento, non il sesto (che è "Non commettere atti impuri") come sostengono durante un dialogo piuttosto surreale Rowan e Cecily.
In questo romanzo ho trovato un'unica piacevole sorpresa, ovvero il personaggio secondario di Con ap Ifan, mercenario gallese di grande fascino ed intelligenza ("Avevo sentito dire che i gallesi sono dei grandi adulatori, ap Ifan" "Non adulatori, milady. Siamo bardi. O poeti, come li chiamate voi. Possiamo difenderci con le parole non meno che con la spada. A volte anche con entrambe").
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