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ARTE E ROMANCE: “Gli Amori di Giove” del Correggio
Affascinate, mascalzone e sfacciato, il libertino primeggia da sempre nei sogni femminili seducendo e abbandonando legioni di fanciulle adoranti, troppo deboli per resistergli. E chi se non Giove, padre degli dei, può essere considerato il capostipite dell’infinta serie di seduttori incalliti che ha popolato la storia dell’uomo e soprattutto delle donne? Incorreggibile, furbo, senza scrupoli e potente non si faceva problemi a usare i mezzi più subdoli e gli inganni più arditi per saziare la sua incontenibile “fame” nei confronti del genere femminile…e tutto questo incurante del fatto che fosse marito, padre e..sì anche nonno! Le sue mirabolanti avventure libertine ci sono state tramandate dallo scrittore latino Ovidio il quale nelle “Metamorfosi” racconta con piglio da ironico giornalista di cronaca, le molte imprese del nostro fantasioso e “divino” seduttore. Il pittore emiliano Antonio Allegri (1489-1534), conosciuto come Correggio (dalla città che gli diede i natali), invece fu uno degli artisti che meglio interpretò il fascino impudente di questo personaggio tanto che dedicò al primo libertino della storia, un ciclo di quattro grandi tele. Il maestro, testo ovidiano alla mano, scelse le storie più accattivanti per realizzare infatti gli “Amori di Giove”. Originariamente destinate a Federico II Gonzaga, Signore di Mantova, per alterne vicende storiche, finirono sparpagliate in giro per l’Europa nei secoli successivi. Non per questo la fama di queste quadri diminuì: il clamore suscitato dal loro sfacciato erotismo, ampliato dallo stile morbido e sensuale del loro esecutore, dai colori caldi ma delicati, dalla luce che sembra scivolare sui corpi rendendoli dolci e palpabili, li ha resi davvero indimenticabili e sebbene oggi restino separati in vari musei europei, sono un unicum nell’immaginario collettivo e fra i dipinti più erotici della storia dell’arte.
Danae (1531 ca.)
La prima impresa del nostro seduttore ha il volto della bella Danae, una sfortunata principessa che era stata rinchiusa dal padre-padrone in una torre perché gli era stato predetto che sarebbe stato ucciso dal primo figlio da lei generato. La poveretta, praticamente murata viva, ormai dispera di salvarsi, ma quattro pareti non fermano certo il padre degli dei che, dopo averla scorta alla finestra, se ne invaghisce seduta stante e decide (con grande estro bisogna ammetterlo) di trasformarsi in una nuvola e penetrare dentro la torre per sollazzarsi con la ragazza. Correggio immortala la scena della loro unione in una raffinata alcova cinquecentesca, mentre Giove, sotto forma di pioggia d’oro (mi sembra chiaro non sottolineare cosa rappresentino quelle gocce….), si unisce carnalmente alla fanciulla. Eros, seduto sul letto, controlla che il tutto vada a buon fine e che nemmeno una gocciolina vada perduta. I due deliziosi putti, in basso a destra, testano invece il potere delle sue frecce ben attenti a non pungersi veramente. Danae, morbida e delicata nei tenui e pastosi colori tipici del pittore emiliano, nell’impudico gesto di allargare le gambe, è coperta solo da un lenzuolino, mentre osserva compiaciuta la scena sapendo bene che Giove non fallisce e che presto avrà un bel pargoletto che le porterà la sua vendetta contro il padre (per la cronaca, il figlio si chiamerà Perseo…il favoloso eroe che ucciderà, oltre al nonno, anche Medusa….potenza dei geni e degli oracoli!).
Giove ed Io (1531 ca.)
La seconda impresa rivela ancora una volta le istrioniche capacità del libertino trasformista. L’avvenente sacerdotessa Io passeggiava in giro per i boschi quando viene adocchiata da Giove, a spasso anche lui in quei luoghi. Neanche a dirlo, il mascalzone, a solo vederla ne rimane folgorato e decide che con le buone o con le cattive la farà sua. Era sorto però un problemino. La moglie Giunone (poveretta) stufa delle continue infedeltà del marito, aveva deciso di marcarlo stretto, per cui il nostro eroe pensa bene di far scendere una fitta nebbia sulla foresta in modo da coprire la sua ennesima malefatta. Correggio, trovandosi di fronte al dilemma di ritrarre un amplesso in mezzo ad una fitta foschia, risolve il tutto con una trovata degna di Giove: ritrae la bella Io avvinta ad una nuvola, all’interno della quale si trova il dio. Se osserviamo il dipinto notiamo la mano sul fianco della ragazza e il volto dell’uomo che la bacia avvolti nelle spire grigie della nube. Vera protagonista della tela è però la sacerdotessa. Il viso e il suo corpo infatti sono impagabili, addolciti dall’estasi dell’unione, dal piacere carnale, così imperfetti, pieni e burrosi e per questo così dannatamente reali, da fare scalpore all’epoca perché entrambi rappresentavano con eccessiva dovizia e lascivia una donna colta nell’atto di darsi con piacere al suo amante.
Il ratto di Ganimede (1531 ca.)
I Greci e i Romani nell’antichità, si sa, non disdegnavano le pratiche omosessuali, soprattutto nei confronti (ahimè) di ragazzini adolescenti, e perché il nostro Giove avrebbe dovuto fare eccezioni? Ganimede era un bellissimo fanciullo troiano che di professione faceva il pastore. Mestiere pericolosissimo e ricco di insidie a quei tempi visto che comportava il dover aggirarsi da soli, per ore, in boschi frequentati dall’insaziabile Giove. Ed infatti, un giorno, il grazioso ragazzino si imbatte proprio nel padre degli dei che appena lo vede, rimane folgorato dalla sua avvenenza e decide seduta stante di portaselo via. Si trasforma così in una possente aquila e dopo averlo agguantato lo solleva in cielo diretto verso l’Olimpo dove gli donerà, oltre all’immortalità, anche un nuovo mestiere: Ganimede diventerà infatti il coppiere degli dei. Correggio su questa storia costruisce una tela straordinaria. Sviluppandola in verticale e utilizzando l’escamotage del cane, del tronco d’albero e della posizione dei due protagonisti, dà vita un movimento a spirale verso l’alto che rende perfettamente l’idea dell’ascensione verso il cielo. Anche qui l’erotismo, marchio inconfondibile di questo artista, è evidente e palpabile nella possanza dell’immenso volatile e nel gesto possessivo di Ganimede di aggrapparsi a quel corpo forte che se all’inizio potrebbe sembrare solo un moto istintivo per non cadere giù, ne svela tutto il compiacimento con l’espressione gaudente del fanciullo che sembra tutto fuorché spaventato o recalcitrante a quell’unione.
Leda e il cigno (1531 ca.)
L’ultima tela è quella sicuramente più discussa a causa di un erotismo così sfacciato per gli standard del passato che fu tacciata di pornografia. Nel XVIII secolo il Duca Luigi d’Orleans infatti, fervente cattolico, in un raptus di pudicizia e scrupolo religioso, disgustato da tutta quella carnalità, pensò bene di squarciare la testa della fanciulla al centro del dipinto. L’opera fu poi restaurata rimediando al danno anche se, ad un occhio attento, risulta chiara la differenza fra questa e le fattezze della medesima fanciulla ritratta nelle due figure femminili sulla destra del quadro.
La storia è quella arcifamosa della bellissima moglie di Tindaro, re di Sparta. Leda un giorno, passeggiava nel bosco che abbiamo imparato a conoscere bene, quando decide, per il gran caldo, di spogliarsi tutta e farsi un bagno in un laghetto in cui si era imbattuta. Ovviamente una bella donna nuda equivale per Giove allo squillo di una tromba nelle orecchie. Accortosi immediatamente della sua fortuna prende le sembianze di un (apparentemente) innocuo cigno, scivola nelle placide acque della fonte e si avvicina alla ragazza. Il dipinto del Correggio è quello che in arte viene definito un quadro didascalico, ovvero una tela che non si limita a mostrare una scena ma ci illustra l’evolversi della storia (come un fumetto insomma). Se guardiamo a destra osserviamo Leda giocare con il cigno, schivando con un sorriso divertito e con altrettanta poca convinzione le amorose profferte del volatile che la incalza. Al centro della tela ci viene mostrata l’azione principale nel quale la donna cede e sotto l’ombra di un grosso albero si unisce al dio: la posizione di lei con il cigno stretto fra le cosce, la sua espressione coinvolta e soprattutto il lunghissimo collo dell’animale che richiama, senza possibilità d’errore, l’organo maschile, rendono l’immagine altamente carnale ed erotica. L’incontro si conclude con Leda che si riveste aiutata dalle ancelle mentre osserva con tenero rimpianto il focoso pennuto che si libra in aria ormai soddisfatto. Da quell’unione nasceranno due belle uova all’interno delle quali in una ci saranno Polluce ed Elena figli di Zeus e nell’altra Castore, Clitennestra e Filonoe, figli di Tindaro (un piccolo contentino per il povero marito tradito)…infondo siamo nella mitologia e tutto è possibile, anche il parto di due uova da uomini diversi! A raccogliere l’eredità di cotanti genitori ci sarà la bellissima Elena che sarà protagonista come sappiamo, di un amore intenso e passionale che alimenterà un filone inesauribile di opere, ma questa, si sa, è un’altra storia…
Per chi volesse ammirare i quadri dal vivo:
La “Danae” si trova a Galleria Borghese. Roma.
La “Leda e il cigno” si trova nello Staatliche Museen. Berlino.
“Giove e Io” e il “Ratto di Ganimede” si trovano nello Kunsthistorisches Museum. Vienna.
Vi lascio con questa splendida e sensualissima poesia ispirata al dipinto “Giove e Io”…
Vale77
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