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Ai primi del ‘900, la giovane inglese Lucy, in vacanza a Firenze con la cugina Lucy, si innamora, complice la magia della Toscana, del conterraneo George Emerson, anch’egli in vacanza con il padre. Tuttavia Lucy, turbata dalla forza della passione e del sentimento che il giovane le dimostra, si impaurisce e ritorna in Inghilterra, dove si fidanza con lo snob Cecil, tutto il contrario di George. Lucy ora è tranquilla, sicura che la sua routine non verrà più turbata…
Tratto da un romanzo omonimo (1908) di E.M. Forster, è a tutt’oggi (a mio avviso) il migliore fra i film di James Ivory, regista inglese noto per i suoi affreschi della società inglese dell’800/ primi del ‘900.
E’ un film che sotto l’apparenza algida e freddina esprime una sensualità con cui alla fine si trovano a dover fare i conti tutti i protagonisti della storia; è una evidente critica al perbenismo e all’ipocrisia della società inglese dell’epoca, in cui la passione e l’amore vengono visti come una stranezza, un’anomalia per persone matte; una società in cui l’apparenza conta più della sostanza.
Attraverso un percorso sentimentale non semplice e a tratti sofferto, la protagonista Lucy (interpretata da una giovanissima e graziosa Helena Bonham Carter in uno dei suoi ruoli migliori) riuscirà alla fine a lasciarsi andare all’amore per George e a seguire le ragioni del cuore piuttosto che quelle della convenienza. Non ho trovato invece particolarmente incisivo il protagonista maschile Julian Sands, mentre invece ho apprezzato molto l’ottimo Danile Day Lewis nel ruolo un po’ ridicolo ma a mio avviso non semplicissimo del borioso Cecil. Altra interpretazione impeccabile Maggie Smith nel ruolo dell’affettuosa ma ansiosa cugina Charlotte, probabilmente un ritratto di quello che Lucy potrebbe diventare in caso faccia una scelta diversa.
Anche gli altri aspetti del film (fotografia, costumi, colonna sonora) sono ottimi; in particolare la fotografia valorizza al massimo i paesaggi inglesi e italiani.
Nel 1987 il film ottenne otto nomination all’Oscar, vincendone tre: miglior sceneggiatura non originale, miglior scenografia e migliori costumi. Vinse anche due David di Donatello per il miglior film e il miglior regista straniero.
ADDIO ALLE ARMI ( A farewell to arms ), 1957
Regia di King Vidor, con Rock Hudson (Frederick Henry), Jennifer Jones (Catherine Barkley), Vittorio De Sica (Alessandro Rinaldi), Alberto Sordi (Padre Galli), Mercedes MacCambridge (Miss Van Campen), Franco Interlenghi (Aimo).
Durante la Prima Guerra Mondiale, il tenente dell’ esercito americano Frederic e la crocerossina Catherine si innamorano sul fronte italiano del Piave. Il loro amore si scontra inevitabilmente con le tragedie, collettive e personali, che la guerra comporta…
Seconda versione cinematografica dell’omonimo romanzo (1929), di Ernest Hemingway, il film è uno di quei kolossal anni ’50 poco riusciti e che per questo hanno causato qualche problemino (economicamente parlando) alla casa di produzione. In effetti a me è sembrato il tipico compitino alla fin fine non proprio da buttare, ma frutto di un parto travagliatissimo (e infatti la lavorazione fu piena di problemi); i palati più romantici probabilmente passeranno sopra alle interpretazioni manierate e troppo rigide dei due protagonisti, il legnoso Rock Hudson e la leziosa Jennifer Jones , una coppia a mio avviso molto male assortita, visto che le emozioni e i palpiti d’amore rimangono esclusivamente sulla celluloide (e nelle intenzioni). Come attori, molto meglio i nostrani Vittorio de Sica e Alberto Sordi, quest’ultimo in una parte insolitamente drammatica.
Molto più efficaci costumi e fotografia.
Da notare l’ambientazione italiana: tentando di perseguire una linea di maggior realismo e aderenza al romanzo, il film fu realizzato in Italia, fra Friuli-Venezia Giulia, Veneto e il Lago Maggiore, non lontano dai luoghi descritti dall'Autore americano, teatro della Prima guerra mondiale.
Alcune scene del film sono state girate a al Grand Hotel di Dobbiaco, al Forte di Landro in Alto Adige.
MANGIA, PREGA, AMA ( Eat, pray, love ), 2010
Regia di Ryan Murphy , con Julia Roberts (Elizabeth), Javier Bardem (Felipe), James Franco (David), Luca Argentero (Giovanni), Viola Davis (Delia).
La trentenne americana Elizabeth ha tutto: una bella casa, un marito innamorato, tanti amici e una soddisfacente carriera come scrittrice. Unica cosa che le manca: la felicità.
Eh si, Elizabeth è in quieta e angosciata, e le cose vanno di male in peggio; comincia quindi a cabimare la propria vita, decidendo prima di separarsi, e poi di fare un viaggio intorno al mondo in tre tappe: Italia, India, Bali.
Lo scopo del viaggio è ritrovare sé stessa e rimettersi in contatto con il suo Io più profondo; ed ecco che in Italia scopre il piacere di mangiare, in India l’importanza della meditazione e a Bali, oltre a venire a contatto con un saggio guru, ritrova l’amore…
Tratto dall’omonimo romanzo di Elizabeth Chadwick (2007), è una storia autobiografica.
Devo dire che non mi è sembrato tutto quel granchè che il battage pubblicitario ha sponsorizzato; non mi è sembrata notevole nemmeno la prova d’attrice di Julia Roberts, che con la sua casa di produzione ha fortemente voluto realizzare il film, in quanto fan del romanzo.
E’ la solita commediola in cui l’attrice si è specializzata; certo, ci sono molti elementi new age e anche qualche spunto di riflessione, ma purtroppo la parte seria del discorso e del messaggio che vorrebbe lanciare rimane in superficie, affossata da osservazione che vengono quasi inevitabilmente in mente: del tipo, certo, un viaggio intorno al mondo sarebbe la cosa migliore per ritrovare sé stessi… potendoselo permettere…
La parte italiana è, come ci si deve aspettare ormai da un film americano, tutta uno stereotipo: italiani che sfrecciano in Vespa (vecchio modello... ancora quello dei tempi di VANCAZE ROMANE!) o, se usano la macchina, hanno
Suppongo che anche le altre due parti del film (India e Bali) siano stereotipate, anche se mi ha colpito la vicenda della ragazza indiana che fa amicizia con Elizabeth, unico personaggio un poco notevole, a mio avviso, in tutto il film.
Tutto sommato comunque gradevole, con interpreti bravini che svolgono bene il loro compitino, tra cui alcuni attori italiani (riconoscibile, Luca Argentero).
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