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RECENSIONE: UN DONO SPECIALE (Special Delivery), di Danielle Steel
Anno: 1997
Edizione originale: Delacorte Press
Pubblicato in Italia da: Sperling and Kupfer
Formato: paperback
Livello di sensualità: warm (caldo)
Genere: women’s fiction
Ambientazione: Stati Uniti, anni ‘90
Voto: 4/10
Jack Watson ha 59 anni ed è proprietario della catena di boutique più famosa di Beverly Hills, la “Julie’s”, chiamata così in onore dell’amata figlia Julie; dopo la fine del suo matrimonio si è dedicato alla bella vita del playboy, senza pensieri né preoccupazioni. Oltre a Julie ha anche un figlio, Paul, che è sposato con Jan, figlia di Amanda Robbins, ex stella di Hollywood che dopo il matrimonio ha rinunciato alla carriera in favore della famiglia.
Quando il marito di Amanda muore, la donna precipita in un profondo stato di depressione; finchè un giorno, partecipando alla festa di Natale organizzata dal consuocero per fare piacere alla figlia, Amanda e Jack finalmente hanno modo di incontrarsi e di approfondire la conoscenza. Inaspettatamente nasce un sentimento profondo che però scatenerà contrasti in famiglia, e non solo….
Sono affezionata a Danielle Steel, perché è grazie a quest’autrice che ho scoperto il mondo della letteratura rosa che mi ha pian piano portato alla scoperta del romance vero e proprio. Quindi per me, a volte, è un piccolo dispiacere notare come questa autrice abbia in realtà più difetti che qualità (mio parere personale, ovvio, visto che comunque è una delle scrittrici americane più amate). Questo romanzo, che ho letto parecchi anni fa, ne è un esempio lampante, molto più di altri.
Inizio subito dicendo che un merito non indifferente, a mio avviso, ce l’ha, ed è quello di scegliere come protagonisti di una storia d’amore non i soliti giovani tormentati, o i soliti quarantenni a un bivio, ma due persone ormai sulla soglia della vecchiaia (o comunque, così avviate). Non è molto comune come scelta narrativa, sembra che, a dispetto del romantico detto “l’amore non ha età”, le persone comprese in una fascia d’età più matura siano tagliate fuori da sentimenti forti, e secondo me è sbagliato.
Detto questo, passiamo alla parte dolente, cioè praticamente a tutto il resto.
Jack e Amanda sono quelli che potremmo definire due tipici americani, non certo semplici americani ma appartenenti allo star system.
Jack è il tipico playboy che ha due soli affetti importanti nella vita, i due figli, e una riuscita carriera nel mondo della moda, essendo infatti proprietario della più esclusiva boutique delle star; la sua vita sentimentale è stata costellata da una serie di delusioni (dovute principalmente al fatto di non saper resistere alle donne, ma su questo la nostra Steel glissa…) e dalla perdita in un terribile incidente di un grande amore. Tutto ciò ha contribuito a renderlo un uomo cinico e disincantato nei confronti dei sentimenti, anche di quelli altrui; infatti non crede più all’amore vero.
Amanda è invece una donna bellissima, eccezionale, ottima moglie e madre, la più grande attrice della sua epoca, piena di qualità ribadite a ogni pagina, e chi più ne ha più ne metta… insomma la perfezione fatta persona! Giovanissima, ha sacrificato alla felicità familiare la sua, come abbiamo detto, splendente carriera, senza peraltro rimpiangerla perché è stata una moglie e madre felice…finchè la morte dell’amato marito non la fa piombare nella depressione più cupa, tant’è vero che per un anno non esce nemmeno di casa! Poi dopo un anno si lascia convincere dalla figlia (nuora di Jack) a partecipare alla festa di Natale organizzata dal suocero… e qui comincia la metamorfosi: Amanda e Jack, che prima di questa occasione si erano visti pochissime volte in quanto non si potevano sopportare (lui dall’alto del suo cinismo irrideva la famiglia felice di lei, lei dall’alto della sua moralità condannava col dito puntato la sua vita libertina), scoprono ciascuno i lati positivi dell’altro, e l’impressione è talmente buona che decidono di approfondire la conoscenza. E i due che per anni non si potevano vedere diventano, nel giro di due pagine, affiatatissimi: cene, spiagge, viaggi, locali all’ultimissima moda… insomma tutto quello che, a quanto pare, serve per far nascere un amore unico, che ovviamente supera qualsiasi sentimento entrambi abbiano potuto provare prima (compreso, per Amanda, quello del marito buonanima). E qui come ho già detto per altri romanzi, non metto certo in discussione il fatto che un vedovo possa provare di nuovo l’amore, ci mancherebbe, ma perché spesso in questi romanzi si fa sempre il paragone tra la nuova unione e la vecchia, a svantaggio di quest’ultima? Non è brutto e di cattivo gusto?
Tra l’altro questo sentimento, che dovrebbe essere più maturo anche data l’età dei protagonisti, è narrato come se i due fossero adolescenti, e non solo per il trasporto con cui si abbandonano alla passione, ma proprio per l’inconveniente che ne nasce, letteralmente parlando… proprio così: alla tenera età di 52 anni Amanda resta incinta!
Ora, non starò a tediarvi con tutto quello che succede dopo, mi pare di aver detto già abbastanza, ma riassumendo:
1- Amanda è una ex attrice ricordata nella storia del cinema anche dopo il suo ritiro in favore della famiglia (e qui non vi viene in mente una certa principessa?), ma alla festa di Jack, dove partecipano celebrità come Tom Cruise, Michael Jackson e Liz Taylor nessuno la riconosce;
2- All’età di 52 anni, già madre di due figlie, Amanda rimane incinta e quando si sente male non riesce assolutamente a capire di cosa possa trattarsi…
3- Siccome ci tengono alla moralità, Amanda e Jack decidono di regolarizzare la loro unione... al nono mese di gravidanza; ma ormai che fretta avevano? E ovviamente lei partorisce la prima notte di nozze…
Decisamente sullo sfondo, ed esclusivamente asservito alla passione dei genitori, la storia di Paul e Jan, i due figli di Amanda e Jack; banalizzando così un problema serio come la difficoltà di molte giovani coppie di avere un figlio; mentre i nonni a quanto pare ritornano ragazzini.
Concludo con un’osservazione: dopo tutta l’accozzaglia di astrusità che ha scritto in questo libro, l’autrice poteva almeno sprecarsi a farci sapere il nome del neonato…
Tiziana
P.S: scusate la lunghezza, ma erano dieci anni che tenevo ‘sti sassolini nella scarpa…
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