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ROMANCE PARK
Eccoci di ritorno con l'appuntamento dedicato alle scrittrici, aspiranti o esordienti, che desiderano mettersi a confronto con le lettrici!
L'estratto di questa puntata si intitola "IL CANE", e il nick della sua autrice è BLACK SUN. Come già sapete si tratta di nomi di fantasia, che usiamo solo per distinguere i vari estratti tra di loro: il nome dell'autrice non è questo, ed il titolo finale del libro sarà diverso.
Vi ricordiamo le REGOLE DI ROMANCE PARK ( potrete trovare maggiori dettagli qui: http://romancebooks.splinder.com/post/20213710 ) :
-- sia le lettrici che le bloggers potranno votare l'estratto con un punteggio da 1 a 10, e naturalmente commentarlo;
-- se la scrittrice lo desidera (non è obbligatorio), può rispondere ai commenti e alle domande – ma lo farà sempre usando il nick;
-- tra una settimana esatta, chiuderemo il sondaggio, e la scrittrice scoprirà che voto le è stato dato dal pubblico.
-- IMPORTANTE: la scrittrice non rivelerà la propria identità a nessuno, né prima, né durante, né dopo il sondaggio. Le bloggers che hanno collaborato con lei alla preparazione del post (cioè Naan e MarchRose) faranno altrettanto, sia nei confronti delle altre bloggers che delle lettrici, e per correttezza si asterranno dal commentare.
IL CANE
di Black Sun
Tutti i diritti letterari di quest’opera sono di esclusiva proprietà dell’autore.
Louise ha solo diciassette anni, Antoine è un uomo di quarant’anni affascinante e libertino nella Francia del 1789. Uno attratto dall’altra, li separa la differenza d’età e le promesse fatte da Antoine. Beast è un bandito spietato che dirige una funesta nave, nemico di Antoine che bracca senza tregua. Maurice è il fratello protettivo di Louise che teme un coinvolgimento della ragazza nei confronti di Antoine.
- Cos’è accaduto? – e Antoine trasalì, la mano sulla pistola ancora alla cintola. Si voltò contro la luce della luna che adesso occhieggiava dalla finestra.
- Louise… - sospirò guardandosi intorno istintivamente, raggiungendola veloce per afferrarle le spalle e impedirle di parlare.
- Cosa accidenti ci fai ancora nella mia stanza? – sussurrò terrorizzato dall’idea che Maurice potesse sorprenderli da soli, lei in camicia da notte e lui con i soli calzoni addosso. Non gli serviva un altro nemico, non quella sera.
- Chi gridava e perché i cani abbaiavano? – non colse i suoi timori.
- Domani saprai quello che c’è da sapere, adesso torna nella tua camera e restaci – la zittì con un filo di voce, poi pensò al bastone che avrebbe scandito il suo passo echeggiando nei corridoi.
- Perché sei spaventato? – gli chiese con lo stesso tono flebile, la mano caldissima sul torace, un brivido lo scosse e si allontanò da lei. Louise ci restò male e lui se ne accorse. Il sangue gli ribollì nelle vene, il senso d’inadeguatezza lo aggredì violento, la percezione di quel tocco inatteso lo inebriò come un vino pregiato.
- Non sono spaventato – temporeggiò. Afferrò la camicia riversa sulla sedia indossandola.
- Cos’è dunque successo? – non mollò la presa la piccola Louise, senza rendersi conto di cosa sapesse infondere. Gli venne un dubbio e si fermò.
- Hai idea di cosa significhi trovarsi nella stanza di un uomo? – la interrogò.
- Sei un amico, qual è il problema? – fu disarmante. Antoine dubitò dell’autenticità di tanta sprovvedutezza.
- Il problema è che se tuo fratello ti trova qui, la gola a saltare è la mia – le fece sapere, senza che lei desse idea di comprendere il significato di quelle parole.
- Volevo solo sapere - si lamentò miseramente. Frettoloso, destabilizzato come detestava sentirsi, Antoine la prese in braccio e agguantò il bastone prima che cadesse. Quatto, come un ladro che non aveva rubato nulla, aprì piano la porta e scrutò l’esterno. Silenzio, buio, deserto. Inspirò. Evitando di battere i tacchi degli stivali, rasentò la parete del corridoio, tenendosi nelle zone d’ombra, sino alla stanza che, per la tensione, gli apparve distante mille miglia. Trovava tutto ridicolo, considerando che in realtà non era accaduto nulla, ma le apparenze erano bastarde, lo sapeva, anche se era abile a salvarsi anche nelle evidenze dei fatti. Ma quella era un’altra storia, Louise era un’altra storia, un'altra cosa, una cosa speciale. Ebbe un fermo mentale, rendendosi conto quanto quella ragazzina sparuta fosse ormai importante, dopo pochi giorni, poche vittorie, qualche sforzo ottenuto con il proprio fascino. Tuttavia, la giovane figlia di Juan non sembrava essere particolarmente sensibile a ciò che invece faceva cadere le donne ai suoi piedi. Finalmente aprì la porta della camera di Louise ed entrò, posandola delicatamente sul letto e sistemando il bastone accanto al comodino.
- Mai più. Sia chiaro – le sussurrò a pochi centimetri dal volto, accorgendosi che lei non allentava la presa al collo e incantata lo guardava, mentre i raggi della luna li sfioravano entrambi. Non gli rispose, era senza fiato, Antoine non ne percepiva il respiro, l’impressione fu di un attimo cristallizzato nel cuore della notte, segretamente, assurdamente. Stupidamente? Si ritrasse senza convinzione e la stretta non sembrò cedere al suo tacito invito.
- Mai più – ripeté con un caldo sospiro. Finalmente un alito della giovane lo pervase sulle labbra, lo accese e cancellò tutto il raziocinio sinora mantenuto. Le braccia al collo lo liberarono, ma lui non si ritrasse: occhi negli occhi, così vicini da annegare nel mare malinconico di Louise, da nuotare in quello scintillante di Antoine. Tremarono imprevisti all’unisono. Tremarono, la camicia iniziò a farlo sudare, dopo i brividi della paura.
- Non lo fare mai più – aggiunse il conte, si riferiva a quella specie di abbraccio di ferro, a quel contatto che lo aveva confuso. Lui era quello che era e Maurice lo sapeva. Neppure il pensiero del fratello deciso e misteriosamente a conoscenza dello scagnozzo di Beast lo persuase dall’intenzione, folle e rischiosa, che lo animò.
- Perdonami – si difese Louise timidamente, la testa appoggiata sul morbido cuscino e quei capelli, lunghi e neri come la pece, riversi come neve atra. Antoine sorrise, appoggiato sul materasso, la mano destra affondata, vicino al fianco della ragazza, la camicia da notte claustrale e leggera. Troppo leggera.
- Chiedi troppo un perdono che non ti spetta, non hai colpe a scalfire il tuo animo – disse dando sfoggio della suadenza che era la sua fortuna, o sfortuna, benedizione o maledizione. Il fatto che fosse un uomo solo metteva in discussione molto di lui e della sua apparente grandezza. Louise lo interrogò con lo sguardo allargato, scuro, sempre più scuro e nel buio era facile smarrirsi. Lo pensò lui e lo pensò lei, perché anche gli occhi di Antoine erano scuri, pur così vivi da mettere a disagio in certi istanti. Altro silenzio, altre parole taciute, altro languore ad allacciarli senza che si sfiorassero. Altro silenzio. Silenzio e afa estiva, non bastava la notte, non ora, non per loro. Faceva caldo. Troppo caldo. Erano vicini. Troppo vicini. E il silenzio si fece ovattato, il tempo senza importanza, i minuti, le ore, i secoli o gli anni, tutto relativo, per un attimo, fugace e incredibile, scottante come scottanti furono le labbra di Antoine su quelle di Louise che attonita lo infiammò, inconsapevole si sciolse come cera al sole, perché tutto continuava a essere caldo, incandescente. Il cuore le bruciò nel petto. Sussultò. Non conosceva il bacio, non lo aveva mai immaginato davvero, forse ne aveva letto qualcosa, ma dove? Forse neppure quello. Confusione impossibile da governare fu lo stato in cui cadde tenera e perduta, rispondendo teneramente a un contatto sconosciuto, seguendo un istinto che avrebbe potuto trascinarla in un baratro senza via d’uscita. E al tentativo di ritrarsi dell’uomo, lei lo seguì di alcuni centimetri prolungando quel bacio vibrante, intenso, strano e piacevole, inaspettato e ignoto. No, che non finisse subito l’emozione che finalmente la fece sentire viva, sangue a scorrere, cuore a battere, vene in fermento, mente in volo oltre le nuvole distanti. No, non adesso, non così velocemente… no. La mano sinistra lo trattenne con un lieve tocco alla nuca, privo di forza, un laccio di seta facile da strappare e Antoine non lo strappò, regalandole altra emozione, altro fremito, nuovo brivido. Sarebbe fuggito, sì. Sarebbe scappato nel momento in cui si fosse allontanato dalla fonte di amore cui stava attingendo dissetando un animo arido, mascherato da altruista e amorevole, ma così asciutto da far male quando vibrò dentro, graffiandogli il cuore. Sarebbe fuggito, sarebbe voluto fuggire, lo avrebbe fatto, si… o forse no, forse ancora avrebbe bevuto il vino più buono che avesse mai assaggiato, senza la controindicazione della perdita di lucidità, perché tutto era lucido intorno a loro in quel momento sublime, subliminale. Sarebbe fuggito, no… non ora, non subito, poi, dopo, tra qualche giorno, quando tutto fosse precipitato, anche se ormai erano già in caduta libera: lui lo sapeva, lei no, lei non sapeva niente.
Come ogni incanto, la realtà spezza sempre i fili della magia e il distacco delle loro labbra fu un taglio a fil di spada che li trascinò laddove erano prima che accadesse ciò che mai sarebbe dovuto accadere.
- Non andrò oltre – si affrettò a dire il conte, fermo eppure scompaginato, in una situazione che non ricordava di avere mai vissuto.
- Esiste un oltre?- lo colpì. Lo colpiva sempre senza volerlo, iniziava a sentire il dolore di ferite profonde, quando le era accanto. Sorrise dandole una carezza lieve sulla guancia gelida, tutto il sangue doveva averlo nel cuore a colmare un vuoto incolmabile.
- Sai bene che tutto questo dovrai dimenticarlo, vero? – cercò spasmodico la maturità che sino a quel momento aveva dimenticato. Louise non replicò.
- Come dovrò dimenticarlo io – concluse rimettendosi dritto e lei scrutò il petto sotto la camicia che non aveva chiuso. Tenera annuì senza una lacrima, probabilmente ancora altrove.
- Io – sospirò dandole le spalle ampie, forti, impossibili da non notare. Non disse altro e raggiunse la porta.
- Bada che Maurice non ti colga a uscire dalla mia stanza – lo sorprese con un filo di voce. Non replicò e verificò che non ci fosse nessuno. Uscì e la lasciò sola. Addosso aveva il peso dell’errore, l’unico che gli era stato detto di non fare e, puntualmente, lo aveva commesso, prima del previsto, prima che lui stesso potesse prevederlo. Certo, era quello che era, non era possibile raddrizzare le zampe a un cane e lui era il cane.
RISULTATO DEL SONDAGGIO : 5,9/10
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