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ROMANCE PARK

Benvenute a Romance Park, il luogo dove ogni scrittrice ha la possibilità di presentare i propri lavori al pubblico!


L'estratto di questa settimana si intitola "THE SCARLET LADY", e il nick della sua autrice è HORTHENSIA KIN. ATTENZIONE, si tratta di nomi di fantasia, che usiamo solo per distinguere i vari estratti tra di loro: il nome dell'autrice non è questo, ed il titolo finale del libro sarà diverso.

Vi ricordiamo le REGOLE DI ROMANCE PARK ( potrete trovare maggiori dettagli qui: http://romancebooks.splinder.com/post/20213710  ) :
-- sia le lettrici che le bloggers potranno votare l'estratto con un punteggio da 1 a 10, e naturalmente commentarlo;
-- se la scrittrice lo desidera (non è obbligatorio), può rispondere ai commenti e alle domande – ma lo farà sempre usando il nick;
-- tra una settimana esatta, chiuderemo il sondaggio, e la scrittrice scoprirà che voto le è stato dato dal pubblico.
-- IMPORTANTE: la scrittrice non rivelerà la propria identità a nessuno, né prima, né durante, né dopo il sondaggio. Le bloggers che hanno collaborato con lei alla preparazione del post (cioè Naan e MarchRose) faranno altrettanto, sia nei confronti delle altre bloggers che delle lettrici, e per correttezza si asterranno dal commentare.

 

THE SCARLET LADY
di Horthensia Kin
Tutti i diritti letterari di quest’opera sono di esclusiva proprietà dell’autore.

 

Londra, 29 marzo 1821. Residenza di Lord Cumberlane, Kensington.



Quella mattina Lord Sebastian Cumberlane, visconte di Maullereugh, era spiacevolmente irritato. Più che irritato, furioso.
Per due fastidiosi, imprevedibili motivi.
Il primo.
L’aristocratico, illustre nome di sua signoria, seguito da titolo e casato, spiccava nella pagina mondana dell’ Evening fra gli invitati al ballo di Lady Steinfeld. Particolare che avrebbe potuto essere anche trascurabile se “Ton sur ton”, la nuova rubrica scandalistica del giornale, non avesse con tanta deprecabile e irrispettosa ironia rivelato particolari scottanti sull’ultimo affair sentimentale del visconte più corteggiato e schivo di Londra. Nonostante non si facesse apertamente il suo nome e rimanesse incerto quello della sua amante, non era difficile indovinare chi fosse il lord in questione. E che dire della caricatura che accompagnava l’articolo?
Cumberlane ne analizzò ogni tratto con meticolosa attenzione.
Per quanto evidente la sua somiglianza con l’uomo rappresentato nella vignetta, lui certo non aveva quel naso! Nè tantomento quel ghigno da predatore!
Chiunque fosse il responsabile di tanto affronto, questa Miss Sharpy Spinster, una zitella decisamente acida, prima o poi ne avrebbe pagato le conseguenze! Non immaginava neppure, questa impudente, se poi era davvero una donna, quanto fosse pericoloso sfidare un Cumberlane!
Per quanto inviperito, sua signoria non potè reprimere un risolino. A osservarla bene, quella caricatura non era poi così male, e l’ironia con cui era scritto l’articolo sarebbe stata decisamente apprezzabile se solo non fosse stato lui ad esserne il bersaglio.
Al diavolo! L’articolo, il suo autore e la sua amante, Lady Runston.
Imprecando apertamente, Sebastian pensò a come porre rimedio a quella spiacevole situazione. Innanzitutto, avrebbe troncato immediatamente la sua relazione. Che, almeno per quanto lo riguardava, era già finita prima ancora del suo rientro dalla missione diplomatica in Svezia.
Certo, Catherine Runston era estremamente attraente, e più che decente a letto, ma non valeva la seccatura di uno scandalo. Né quella di un duello con quel brav’uomo di suo marito.
Doveva farsi lasciare da Catherine al più presto. Non sarebbe stato poi così difficile e gli avrebbe evitato spiacevoli, imbarazzanti conseguenze. Pianti e scenate. Fiumi di parole inutili e fasulle. E poi, nonostante tutto, come avrebbe potuto pensare ad un’altra donna, ora?
Sempre più irritato, Sebastian prese l’Evening, lo appallottolò e lo scagliò dall’altra parte della camera. Avrebbe fatto presto, molto presto, una visita di cortesia al direttore di quel foglio da strapazzo e se avesse avuto la fortuna di incontrare quella Spinster….
Il pugno destro di milord si abbattè pesantemente sul tavolo della colazione, facendo tintinnare pericolosamente porcellane finissime, cristalli e posate d’argento.
Del caffè schizzò sulla tovaglia di broccato.
E come se tutto ciò già non fosse stato abbastanza…..
“Di umore nero questa mattina, my lord?”
La voce di Ray, da più di dieci anni suo fedele servitore, nonché amico e confidente, lo raggiunse, sarcastica come sempre.
Sebastian evitò di alzare lo sguardo su di lui, sicuramente gongolante in un’espressione di scherno, e per non dargli soddisfazione, si astenne dal rispondergli come si sarebbe meritato.
Concentrandosi sulla prima pagina del Times, si limitò a porgergli la tazza per farsela riempire di caffè.
Ray prese la caffettiera d’argento dal vassoio.
“Presumo che siano state le rivelazioni dell’Evening ad avervi infastidito, my lord…” la voce di Ray era sempre più canzonatoria.
Versò il caffè.
“Se ci tieni a vivere, sparisci.”
La risposta di milord avrebbe spaventato chiunque, ma non Ray.
”Non desiderate controllare la posta, questa mattina, my lord?” Con fare cerimonioso quanto canzonatorio sistemò di fronte a Cumberlane un vassoio d‘argento straripante di lettere.
“Devo aprirvi le buste, my lord?”
“Spa-ri-sci!”
“Come de-si-de-ra-te, my lord”.
Sebastian lo sentì ridacchiare mentre usciva dalla sua camera, e si lasciò sfuggire un sorriso. Diede uno sguardo frettoloso alla posta, e poi si concentrò sul Times, sorseggiando il caffè.
La prima pagina era interamente dedicata alla rinascita di Londra e al brillante progetto architettonico di John Nash nel quale egli stesso aveva investito parte dei suoi capitali.
Strade e piazze e palazzi nuovi, compreso quello del Reggente, avrebbero presto trasformato Londra in una nuova, moderna, elegante città. Nella degna capitale della nazione più potente del mondo.
Pur sforzandosi di leggere l’articolo sui vantaggi che questa rivoluzione architettonica avrebbe recato a Londra e ai suoi abitanti, Sebastian, si ritrovò a pensare al secondo motivo che quella mattina l’aveva reso tanto irascibile e nervoso.
O meglio, insicuro e tremante. Come un adolescente alla prima infatuazione.
Il secondo motivo aveva occhi verdi, capelli neri e labbra dannatamente invitanti.
Emettendo un suono gutturale e leggermente ridicolo, Sebastian si ritrovò a immaginare come, se solo avesse potuto, avrebbe accarezzato quelle labbra con un tocco leggero delle dita, come le avrebbe sfiorate prima e poi coperte con la sua stessa bocca, fino a quando non si fossero dischiuse per rispondere ai suoi baci, fino a quando non fossero diventate gonfie ed umide di desiderio e di passione.
Un pensiero indubbiamente inopportuno, a quell’ora del mattino, milord!
Quella labbra appartenevano a Madeline.
Madeline, che avrebbe potuto essere sua, se solo le avesse detto di sì, otto? No, dieci anni prima.
Madeline, cui avrebbe potuto insegnare ogni cosa, ogni cosa, se solo allora non fosse stata una ragazzina.
Madeline che, da quella notte, era sempre rimasta nei suoi pensieri, e soprattutto nelle sue fantasie.
Madeline, che se ne era andata silenziosa come una
brezza leggera, ed era ricomparsa nella sua vita come un uragano.
Madeline, che ora doveva essere sua.
Sebastian si rese conto di stare sudando e di essere sconvenientemente eccitato.
Decise che una salutare visita da Jackson’s, dove avrebbe potuto tirar pugni senza sollevare sospetti, lo avrebbe aiutato a
non pensare alle labbra di Madeline. E al suo corpo. E ai suoi occhi. E al suo profumo , che gli era rimasto addosso da quando l’aveva rivista al ballo di Lady Steinfeld.
E dopo essersi sfogato da Jackson’s, avrebbe fatto visita a Madame De Morissay che lo avrebbe affidato alle cure di una delle sue fantastiche …
Una puttana? Non voleva una puttana. Non voleva nessuna.
Se non Madeline, Lady MacColey, come qualcuno si ostinava a chiamarla.
Un sano, virile desiderio? si chiese.
No, molto di più.
Era un’ossessione.
Una minaccia, un pericolo, una sciagura per il tranquillo tran tran della sua impegnata e meticolosa esistenza.
Sua signoria ebbe uno scatto d’ira.
E il Times raggiunse l’Evening, terminando precocemente e con poca gloria la propria quotidiana esistenza.


Londra, residenza di Lady Surtees, Grovesnor Square. Lo stesso giorno.

Seduta alla scrivania della biblioteca, Madeline fissava il ramo di un olmo, una punto indistinto del giardino che sorgeva al centro di Grovesnor Square. La finestra offriva una splendida vista sulla elegante piazza londinese, dove da ormai tre mesi viveva ospite di Lady Surtees.
Ormai in là con gli anni, la nobildonna era stata una grande amica di sua nonna e senza tentennamenti l’aveva accolta quando, bisognosa di aiuto, era tornata a Londra dopo quasi dieci anni vissuti nel Northumberton.
Un brivido corse lungo la schiena di Madeline.
Una reazione involontaria, forse, al ricordo del freddo e della solitudine che avevano accompagnato la sua esistenza in quella selvaggia terra del Nord.
Dove era rimasta, come in una prigione, sino alla morte di suo marito.
Povero David!
Non era stato un cattivo marito.
Non era stato tout court un marito. Troppo più vecchio di lei, troppo buono, troppo malato. E troppo ingenuo.
Il suo totale disinteresse per gli aspetti pratici della vita, la fiducia nel prossimo, l’inclinazione a non vedere mai il male, ma anche il suo totale egocentrismo, lo avevano di fatto reso succube di un fratello minore avido e intrigante, capace di tutto pur di accaparrarsi il titolo e le proprietà di famiglia.
Proprietà che comprendevano, a suo giudizio, anche Madeline. Come fosse stata un terreno, un mobile, una cavalla da montare. In ogni senso.
Madeline rabbrividì di nuovo, questa volta ripensando a suo cognato Robert, l’attuale Lord MacColey. Alla sua voce, che la invitava oscenamente a cedere alle sue proposte, alla sua arroganza, che le consigliava di non resistergli.
E’ al tuo bene che penso, Madeline. Al tuo futuro.
Scacciò l’odiosa immagine del nuovo padrone di Tamberleigh, e tornò al lavoro.
A soli ventisette anni Madeline era già una vedova, dal presente estremamente incerto e dal futuro assolutamente imprevedibile.
Ma non era il futuro che preoccupava Madeline in quella mattina primaverile. E non era neppure il suo lascivo cognato. Era….
Sebastian…
L’uomo che aveva amato con tutta la sua passione adolescenziale, e che poi aveva con la stessa tormentata passione odiato.
Sebastian, l’uomo che ora cercava inutilmente di detestare con la determinazione di una donna matura.
Sebastian che, rifiutandola, l’aveva condannata a dieci anni di infelicità. Di prigionia. Di umiliazioni.
Attraenti pensieri di vendetta si rincorsero nella mente di Madeline, mentre un sorriso compiaciuto le si dipingeva sulle labbra.
Perché la sua innocente rivalsa era già iniziata, e Lord Cumberlane non avrebbe potuto schivarla.
Madeline si alzò dalla scrivania e si stiracchiò, come un gatto che si risveglia. O meglio, come una gattina, come lui aveva continuato a chiamarla quella indimenticabile notte.
Quando lui, dopo i baci e le carezze, l’aveva rifiutata.
Gattina!
Le aveva detto no.
Qualsiasi altro uomo non si sarebbe fatto scrupoli, avrebbe preso ciò che gli veniva offerto senza pensarci due volte.
Non Sebastian!
Me la pagherai, prima o poi. Gli aveva urlato fra le lacrime.
Quasi dieci anni erano passati, e il poi era finalmente diventato ora.
La fortuna le aveva incredibilmente sorriso quando, tre giorni prima, aveva incontrato da Ackermann Lady Runston ed ascoltato involontariamente un pettegolezzo su di lei. E su Sebastian. Il pettegolezzo si era gonfiato di particolari ironici ed era in breve diventato un buon articolo per Ton sur Ton. Gli anonimi amanti erano descritti come vittima e carnefice. Il lettore potrà ben immaginare chi dei due fosse la vittima e chi il carnefice.
Nei prossimi mesi Ton sur Ton non avrebbe perso occasione per mettere il futuro Duca di Maullereugh in ridicolo, per abbattere le sue difese, per farlo scendere da quel piedistallo dorato che lo poneva sempre al di sopra si tutti e tutto.
Sarebbe diventato il bersaglio preferito di Miss Sharpy SPinster. Il suo bersaglio preferito.
Da poche settimane sulle colonne dell’Evening, la rubrica era già un successo. Pur non ammettendolo, non c’era aristocraticratico o ricco borghese che non la leggesse. Il ton adorava Ton sur Ton e si interrogava sulla misteriosa Miss SPinster.
Madeline scoppiò a ridere.
Con garbo, con lo stile leggero e frizzante che le era naturale e l’indispensabile ironia, scriveva di balli e abiti sfarzosi, di amori e tradimenti, ma anche delle molte ingiustizie che pesavano sulla metà più debole della società. Prendendo spunto dalla cronaca mondana, dal mero pettegolezzo, era capace di far trasparire dai più fatui argomenti realtà spesso crudeli ed intimamente ingiuste. Se le giovani donne fossero riuscite a leggere tra le righe di Miss Spinster, lo scopo di Madeline sarebbe stato raggiunto.
Gli ultimi dieci soffocanti anni della sua vita avrebbero avuto un senso.
Ma per poter riuscire, Madeline sapeva di dover osservare due semplici regole: lavorare con discrezione e tenere a debita distanza gli uomini.
Era la seconda regola a preoccuparla.
Ancor di più adesso che era di nuovo disponibile. E soprattutto non più vergine. Una condizione, quest’ultima, che avrebbe risvegliato in ogni maschio adulto l’istinto deprecabile del predatore.
Quale sicuramente Cumberlane era.
Presuntuoso, insopportabile, arrogante, superbo.
Bellissimo, affascinante, brillante, desiderabile.
Possibile che, dopo dieci lunghissimi anni, non le fosse ancora passata l’insana passione per quell’uomo?

Londra. Cinque giorni prima, ricevimento di Lady Steinfeld.

Dopo aver vissuto tanto a lungo nel gelo e nello squallore del Northumberton, lo splendore della vita londinese aveva restituito a Madeline il desiderio di divertirsi. Di farsi corteggiare. Di essere trasportata dalla musica di un valzer, sicura tra le braccia di un cavaliere.
Dopo più di un anno di lutto stretto, quella sera avrebbe partecipato a un ballo. Come una debuttante, si sentiva felice, e piena di aspettative, e di interrogativi. Di dubbi, anche.
Al diavolo i dubbi, le incertezze! Quella sera, avrebbe ballato.
Si sarebbe divertita.
Avrebbe civettato, forse.
Sì, lo avrebbe fatto.
Preparandosi per il ballo, Madeline si chiese se fosse di nuovo pronta a salire sulla rischiosa, sensuale giostra della seduzione. Che girava al lento ritmo delle frasi appena sussurrate, degli sguardi proibiti, degli incontri rubati.
Una giostra dove si potevano scambiare con troppa leggerezza posti e compagni di gioco.
E dove si poteva facilmente perdere l’equilibrio.
E la libertà.
Guardò la veste che avrebbe indossato quasi fosse il vessillo della sua, personale rinascita.
Suo marito aveva preteso che si vestisse sempre di bianco. Come una vestale, pura e immacolata. Quando era morto, le aveva suo malgrado imposto per più di un anno un altro colore, il nero.
Ora, terminato il lutto, sarebbe stata lei a scegliere.
Aveva capito in un solo, folgorante istante quale sarebbe stato da quel momento in poi il colore della sua vita. Non il verde, non il blu. Non il viola, non il giallo.
Il rosso.
Il rosso avrebbe colorato la sua vita.
Il rosso morbido e vellutato delle rose più rare.
Il rosso vivo e pulsante del sangue.
Il rosso pericoloso e attraente del fuoco e della passione.
Un brivido corse lungo la schiena di Madeline.
Non si sarebbe uniformata a quella folla di giovani donne tutte piacevolmente uguali, monotone e rassicuranti nei loro abiti pastello quanto nei loro comportamenti misurati e studiati. Pronte ad arrossire con verginale stupore, a prestare ascolto alle parole insipide dei loro corteggiatori con venerazione, più che con fastidio.
Pronte ad accettare con mansuetudine il futuro che altri avrebbero scelto per loro.
Non era stata mansueta, lei, ad accettare il suo destino. Anzi, aveva cercato in ogni modo di sfuggirgli. Aveva lottato con tutte le sue forze. Eppure, ne era rimasta intrappolata. Per lunghi dieci anni.
Scacciò i ricordi e le sensazioni opprimenti. E decise che quella sera avrebbe pensato solo a divertirsi.
Al diavolo il passato.
Accarezzò l’abito scarlatto e si preparò per il ballo.

Di impalpabile velluto, a vita alta e generosamente scollato, sembrava fatto a posta per mettere in risalto la figura slanciata e armoniosa di Madeline. Che, tra i tenui colori delle mises delle altre dame, spiccava come una rosa rossa in un campo di neve.
Anche volendo, sarebbe stato difficile non notarla.
I capelli corvini erano acconciati in un semplice nodo e ricadevano morbidi e brillanti lungo il collo sottile, le spalle tornite e la schiena elegante. La corta frangetta liscia, così poco alla moda, sottolineava i suoi occhi verdi, le ciglia folte e lunghe, il naso minuto e impertinente. Anche le labbra di un rosa acceso, piene e in un perenne, involontario atteggiamento di ironica sfida, erano messe in risalto dalla semplicità dell’ acconciatura. E quella sottile cicatrice che le attraversava trasversalmente il mento, e che sarebbe apparsa come una maledizione a molte giovani donne, pareva su di lei un vezzo, un regalo della natura, più che un difetto.
Pur non rispondendo pienamente ai canoni della bellezza tradizionale, Madeline era la donna che anche quella sera aveva più di ogni altra attratto ogni sguardo, ogni commento, ogni illazione.
Ogni desiderio maschile.
Ogni antipatia ed invidia femminile.

Pur avendo concesso i suoi sorrisi con discrezione e parsimonia, sembrava che i gentiluomini presenti alla soirée degli Steinfeld non avessero altro scopo nella vita che scortare Madeline al buffet, portarle un rinfresco, accompagnarla in una breve passeggiata in giardino, o mostrarle la sala dove erano stati allestiti i tavoli da gioco.
Nel giro di un’ora aveva ricevuto tre dichiarazioni.
E una proposta di matrimonio, da un nobiluomo peraltro già fidanzato, pronto a rompere la sua promessa per lei.
Con una sola, sarcastica occhiata Madeline aveva chiarito ai malcapitati pretendenti quale fosse la sua risposta.
E disilluso le loro romantiche attese.
Senza dare ascolto alle proteste e alle lusinghe di molti, temendo altre imbarazzanti dichiarazioni, aveva alla fine ballato solo con Lord Steinfeld. E abilmente schivato, tra un passo e una riverenza, le galanti lusinghe degli altri gentiluomini impegnati nella contraddanza.
Che fosse il suo abito rosso ad attirarli?
L’ipotesi, per quanto bizzarra, la divertì.
Decise il soprannome che Ton sur Ton avrebbe dato a Lady MacColey. Che lei si sarebbe data.
The Scarlet Lady. La lady Scarlatta. Semplice e conciso.
Rise intimamente pensando che sarebbe stato piacevolmente scriteriato scrivere di se stessa. Farsi beffe dei suoi molti difetti. Farsi beffe dei suoi molti pretendenti.
Ah!

Era quasi mezzanotte quando, in cerca di un soffio d’aria fresca, Madeline si era fermata a parlare con Mr Reighley nei pressi di una delle porte che dal salone delle feste conducevano in giardino. L’uomo, noto per possedere le migliori scuderie del regno, era intento a descriverle con meticolosa e pedante precisione quali fossero i requisiti di un buon stallone.
E sicuramente non aveva né validi motivi né abbastanza senso dell’umorismo per alludere a se stesso.
Madeline, nascondendo dietro al ventaglio rosso come l’abito un impertinente risolino, si annotò mentalmente quell’ acida considerazione.
Mr Reighley considerò quel gesto come un palese segno di apprezzamento. E osò chiedere a Madeline il permesso di accompagnarla il giorno seguente a cavalcare a Rotten ROw.
Madeline approffittò del ventaglio per coprire lo sbadiglio che ne era conseguito.
Incominciò con grazia a declinare l’invito di Mr Reighley, quando qualcosa successe.
Il panico la inghiottì, come se stesse sprofondando sotto la superficie di un lago gelato.
Le parole le morirono in bocca.
Il respiro si fermò.
Il cuore si fermò.
E finalmente gli occhi verdi colsero un’immagine sfocata che ritornava dal passato. E capì.
Lui era .
Lottando per uscire da quelle acque ghiacciate, in balia di mille contrastanti emozioni, aveva abbassato lo sguardo ed era arrossita, come una debuttante qualsiasi. Aveva inutilmente pregato di diventare invisibile. Aveva nascosto il viso dietro al ventaglio. Aveva maledetto la sua appariscente mise scarlatta. Lui stava camminando lentamente verso di lei, salutando e sorridendo, stringendo mani maschili, baciando mani femminili.
Nessuna migliore idea le venne se non fuggire.
Sì, ce la posso fare.
Lui era al fianco di Lord Steinfeld, ora, e l’etichetta gli avrebbe imposto di rimanere con il padrone di casa finchè questi non l’avesse congedato….
Devo muovermi subito.
Senza neppure scusarsi con Mr Reighley e con i suoi molti cavalli, Madeline si girò di scatto e fuggì in giardino, sperando che lui non l’avesse riconosciuta. Né che avesse notato la sua innocente evasione.
Col fiato corto raggiunse le serre e si infilò nella piccola orangerie.
L’ inebriante, sensuale profumo degli agrumi in fiore l’accolse. Chiuse gli occhi, respirando quella fragranza unica e preziosa, cercando di calmare il battito del suo cuore.
Di scacciare quella fastidiosa sensazione di pericolo.
Stupida!
Non si era certo aspettata di vederlo, quella sera.
Sebastian avrebbe dovuto trovarsi ancora all’estero, in Svezia, per conto del reggente. Così almeno le aveva assicurato Lady Surtees, scrutandola con interesse.
E allora, cosa diavolo ci faveva Sebastian a Londra, e proprio al ballo di Lady Steinfeld?
Madeline aprì di scatto il ventaglio e cominciò farsi vento, come se quel gesto meccanico potesse aiutarla a riflettere.
Probabilmente Sebastian aveva concluso la sua missione, in anticipo e sicuramente con successo. Tipico, suo.
Ed era tornato.
E lei avrebbe dovuto affrontarlo. Stasera, domani, fra una settimana forse. Ma prima o poi sarebbe successo.
I ricordi di un passato lontano, ma ancora vivissimo, ricominciarono a tormentarla.
Cosa doveva fare?
Non voleva pensarci adesso. Domani. Domani avrebbe trovato una soluzione. Ora doveva solo lasciare il ballo senza farsi notare.
E se fosse stato meglio affrontare immediatamente quella penosa incombenza?
Penosa incombenza? Sebastian?
Per dieci anni non aveva fatto altro che sognare questo momento! Il loro incontro. Le prime parole. Lui che le prendeva la mano per baciargliela. Lui che le parlava.
La sua calda voce era sempre stata dentro di lei.
Come i suoi occhi scuri e profondi. E le sue mani, belle morbide mani. E la sua bocca, che quando si incurvava in quel meraviglioso sorriso gli illuminava il volto.
Fuggire le sembrò all’improvviso una pessima idea.
Anche rimanere, le sembrò una pessima idea. Ma l’unica possibile.
Pensò allora a come Miss Spinster avrebbe potuto liberamente ironizzare sulle debolezze dell’inarrivabile Visconte di Maullereugh. E un poco si rincuorò.
Nella penombra, densa della fragranza dei fiori, Madeline si alzò in piedi, si lisciò l’abito e si sistemò i capelli, pronta a rientrare al ballo. Pronta a incontrare Sebastian.
“Lady MacColey, vi stavo cercando…”
Madeline sussultò riconoscendo la voce di Lord Sanderford, uno dei tre gentiluomini che quella stessa sera si erano dichiarati. Era un uomo ormai alla soglia dei quarant’anni, più noioso che serio, dotato di un piacevole aspetto e di una notevole fortuna, di un paio di figli nati da un precedente matrimonio e di una inspiegabile sicurezza nel sul fascino. Con insistenza e senza successo l’aveva corteggiata negli ultimi due mesi.
“My lord, mi avete seguita?”, fece lei cercando di raggiungere l’uscita.
L’uomo, ormai vicino, glielo impedì, prendendole maldestramente la mano.
”Ebbene sì, vi ho seguita, lo confesso! Ve ne rammaricate?”
Fu in quel momento che Madeline, già pronta a respingere ogni avance del gentiluomo, si accorse di un’altra presenza, una sagoma scura appena illuminata dalla debole luce proveniente dalle lanterne del giardino. Un’ombra che Madeline avrebbe riconosciuto anche nel buio più totale.
La vicinanza dell’inatteso spettatore le provocò un immediato senso di ebbrezza, un desiderio irrefrenabile di sfida.
Decise di lasciare la sua mano in quella di Lord Sanderford , incoraggiandolo così a proseguire nel goffo corteggiamento.
“E per quale motivo mi cercavate, my lord?” rispose in un sussurro.
L’uomo la guardò come se non si fosse aspettato una domanda così diretta e soprattutto così promettente. Sospirò, prima di rispondere, inondando di aria umida e disgustosa la mano guantata di Madeline.
“ Per chiedervi di cambiare idea.”
“E’ difficile farmi cambiare opinione, my lord…”
“Forse col tempo, conoscendomi meglio, potreste apprezzarmi. Lady Mac COley, vi prego..”
Con la coda dell’occhio Madeline non perdeva di vista l’uomo nascosto nell’ombra. Ebbe la fastidiosa sensazione che stesse ridendo. Improvvisamente irritata, sfogò il suo rancore sul povero Sanderford e, con mossa decisa, liberò la mano dalla sua stretta.
“My lord, abbiate rispetto della mia condizione di vedova!”
Ottima interpretazione, Madeline. Ma una vedova dovrebbe indossare un abito meno appariscente….. pensò l’uomo nascosto nell’ombra, divertito.
“Lady MacCOley, Madeline, avete rispettato la memoria di vostro marito fin troppo a lungo, non avete più obblighi, né verso di lui, né verso la società!”
“Lasciate, my lord, che sia la mia coscienza a decidere quando gli obblighi verso il mio defunto marito siano da considerarsi finiti. E ora, se permettete…”
L’ ombra sollevò un sopracciglio.
Ah, Madeline! Dieci anni al fianco di MacColey devono esserti sembrati una eternità. Per una volta, sono d’accordo con quel pallone gonfiato di Sanderford: no, non hai più obblighi verso tuo marito, sei libera, finalmente… Per me?
L’ ombra non ebbe il tempo di riflettere su quell’ultima, allettante prospettiva. Era giunta l’ora di intervenire.
Sanderford, infatti, sembrava deciso a non cedere e stava trattenendo Madeline contro la sua volontà.
”My lord, lasciatemi, per cortesia. Vorrei rientrare al ballo.”
La voce di Madeline tradiva una leggera preoccupazione.
“Suvvia, mia adorata, non vi chiedo che di riprendere in
considerazione la mia proposta”.
Mia adorata? Quell’uomo si merita una lezione, pensò l’ombra.
“My lord, il mio è un no definitivo.”
La voce di Madeline tremava leggermente, gli occhi verdi brillavano nella penombra, curiosamente minacciosi e nel contempo impauriti.
“Ho molto da offrirvi…” insistette Sanderford.
Non hai niente da offrirle, tu, viscido pallone gonfiato…
“My lord, vi prego, non insistete…”
In che guaio mi sono cacciata? E dove è finito, lui? Perché non esce dal suo nascondiglio? Scommetto che si sta divertendo alle mie spalle!
Quasi avesse letto nella mente di Madeline, l’ ombra uscì dal suo nascondiglio prima che Sanderford passasse dalle parole ai fatti. Troppo presto perché ci fosse una valida ragione per rompergli il naso. A la prochaine, pensò.
Così, semplicemente, l’ombra disse:
”Lady MacColey. Disperavo di trovarvi, ormai”.
Poi, rivolgendosi all’uomo, con tono fermo e vagamente minaccioso proseguì.
”My lord, Lady Steinfeld chiede di voi. Credo vi attenda urgentemente nella sala da gioco.”
Trasalendo, Lord Sanderford si girò di scatto verso lo sconsiderato che incautamente aveva interrotto la sua dichiarazione. Trattandosi di Cumberlane, si quietò subito ed esclamò con fare disinvolto:
“ Maullereugh! Voi a Londra?”
Sebastian, sinistramente illuminato da un raggio di luna, gli si avvicinò, il volto atteggiato in un’espressione di impaziente superiorità.
“E’ evidente, signore”. Non gli fu necessario aggiungere altro.
Porse il braccio a Madeline, e attese che lei glielo cingesse. Un ordine, più che un gesto di cortesia, che provocò in Madeline un motto di irritazione e in Sanderford la prudente decisione di lasciare la compagnia. Cosa che, con un piccolo inchino, fece senza altri indugi.

Tutto sembrava essere esattamente come quando si erano lasciati, dieci anni prima. Una musica lontana, il cielo stellato di mezzanotte. E loro due.
Soli.
Madeline e Sebastian.
Sebastian e Madeline.
Allora era stata lei ad attrarlo a sé, con l’inganno.
Ora era stato lui a cercarla. A seguirla, veramente.
Parole, sensazioni, emozioni si agitavano senza ordine nella mente di Madeline, nel vano tentativo di ricomporsi in una frase sensata.
Pensieri molto più concreti e viscerali torturavano Sebastian.
Una voce calma e distaccata all’improvviso ruppe il silenzio. Madeline si sorprese quando si rese conto di essere stata lei a parlare.
“Vi attendete forse un ringraziamento per avermi liberata da Sanderford?”
Lui non rispose.
“Sono certa che me la sarei cavata benissimo anche da sola, my lord, così come credo di essere in grado di rientrare al ballo senza la vostra gentile protezione”…
Lui le sorrise. Con condiscendenza tutta maschile.
“E rischiare altri incontri sgradevoli? Mia cara Madeline, il vostro abito attira gli uomini come una mantilla i tori. Quante vittime avete provocato questa sera, tre, quattro? Contando anche me, almeno cinque, direi.”
Madeline lo fissò per qualche istante incerta se schiaffeggiarlo o fingere indifferenza. Raggiunse un compromesso.
“State forse giudicando il mio abito inadatto alla circostanza, signore?”
Domanda rischiosa, Lady MacColey. Ma la risposta non fu sconveniente quanto il pensiero che la precedette, che non riferiremo.
“Al contrario, lo reputo incantevole. E terribilmente seducente, my lady……- un sorriso malizioso gli illuminò il volto -…ma inadatto ad una vedova sconsolata….Un ruolo che peraltro non vi si addice, Madeline.”
Le prese entrambe le mani e se le portò alle labbra, senza staccare gli occhi dai suoi. La stava guardando come l’aveva guardata quella notte, come se il tempo non fosse passato.
Con un solo, chiaro obiettivo in mente.
Madeline avvampò.
Per nascondere il proprio disagio, alzò gli occhi al cielo e con un “ah!” sprezzante rivolto a tutto il genere maschile si diresse decisa verso l’uscita dell’orangerie.
“Dieci anni che non ci incontriamo, e non avete altre parole per me che uno sdegnoso ah!?”
La domanda di Cumberlane le impedì di proseguire. Si girò di scatto e lo fissò con chiare intenzioni bellicose.
“Per la verità, ci siamo incontrati cinque anni fa al funerale di mio padre, my lord.”
“E non mi avete degnato di uno sguardo.”
Non avevo occhi che per te, Sebastian. Come hai fatto a non accorgertene?
Per calmarsi, forse per nascondere le sue emozioni, Madeline si avvicinò ad una pianta di limone, prese un fiore fra le dita e ne inspirò il profumo, la testa leggermente reclinata, gli occhi sottili come due fessure, le labbra socchiuse.
A vederla così, sensuale e desiderabile, Sebastian sentì il cuore battergli in gola. Poi il suo respiro si fece pesante. La testa girò…
“La mia gattina è tornata….” Le parole sgorgarono incontrollate e galleggiarono per qualche istante senza meta nell’aria profumata.
Se lei le sentì, non lo diede a vedere. Ma le sue mani tremarono.
Forse per arrestare quel tremito, aprì di scatto il ventaglio. Poi lo richiuse. Con impazienza ci giocherellò.
“Cosa pretendereste che vi raccontassi, my lord?”
Sebastian non era sicuro di riuscire a parlare. Ma ci provò.
“Gli ultimi dieci anni della vostra vita.”
Incrociò le braccia sul petto e si appoggiò ad una colonna, come se fosse disposto ad attendere con pazienza. Madeline alzò il mento, in un tipico, infantile atteggiamento di sfida, e si avvicinò. Un passo, due passi, tre. Era ormai abbastanza vicina perché lui riuscisse nettamene a distinguere il suo profumo, sensuale e pericoloso. Lo stesso di quella sera. Il profumo fece riaffiorare il ricordo. Il ricordo una disastrosa e inopportuna reazione fisica. Doveva portare Madeline fuori di lì. Subito. Madeline riprese a parlare. Fece un altro passo.
“Non c’è nessuna valida ragione perché io vi racconti la mia vita, my lord. Non vi riguarda.”
Sebastian finalmente si mosse, e lei rimase a fissarlo, come stregata. Avrebbe dovuto andarsene, scappare prima che fosse troppo tardi. Ma sembrava incapace di muoversi, quasi fosse incatenata a lui, ai suoi occhi scuri che stavano indugiando sul suo corpo con un’intimità che la sconvolse. E quando si posarono sulla sua bocca, Madeline sentì di essere persa.
Il desiderio crebbe dentro di lei, salì dal ventre fino alle labbra che involontariamente tremarono, si dischiusero, ed emisero una lieve, sottile, disperata nota ….
Non riusciva a muoversi. A respirare. E il cuore correva ad una velocità impossibile. Come dieci anni prima….
No, non poteva permettere che succedesse di nuovo.
Chiuse le palpebre. Per nascondere quello che i suoi occhi avrebbero senza pudore rivelato a Sebastian. E attese.
Ma lui non fece nulla.
Non la toccò.
Non la baciò.
Non la sfiorò neppure.
Sussurrò soltanto: “ Ogni cosa che riguarda voi, riguarda anche me, Madeline….”
Poi, accarezzandole delicatamente la cicatrice sul mento, aggiunse: “Io non ho dimenticato, e voi?”
Ma non attese la sua risposta. Le porse il braccio e in silenzio la ricondusse al ballo.

 

RATING FINALE :  7,76 /10

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