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CARPATHIANS
LA SERIE DARK DI CHRISTINE FEEHAN
Link alla Serie Carpathians e all'ordine di lettura :
Carpathians
Link alla Bibliografia di Christine Feehan
Christine Feehan
LIBRO PRIMO : DARK PRINCE
Un regalo speciale alle lettrici Italiane: da Christine Feehan abbiamo avuto l'autorizzazione a tradurre e a proporre sul nostro blog gli estratti dei suoi bellissimi romanzi, e alcuni contenuti del sito riguardanti storia e background di questi straordinari personaggi.
Inauguriamo questo viaggio con un breve nota di Christine Feehan che ci rivela come è nata l'idea di scrivere su questa antica razza, e... un estratto dal primo romanzo di questa serie speciale: Dark Prince.
Buona lettura!
by naan
From Christine Feehan
I began this book several years before I became published. I originally was going to write a werewolf book because I wanted to do something really different and I absolutely love wolves. I had done so much research on them and coincidentally on vampires also. I ended up taking the lore and myths of the vampire and weaving them into a book that answered my question, 'Where did the first vampire come from?'
There are so many tales of vampires in almost every country down through the ages. That is when I stumbled on to the answer -- the Carpathian people. The discovery of this dying race of people, struggling desperately to preserve their place in the world afforded me many intriguing adventures on their behalf. This was a very exciting and fascinating book to write. I loved all the characters and wanted to know more about them. I spent so much time with Mikhail and Raven, Gregori and Jacques that I felt very sad when I finished the book. Fortunately, my mind was already alive with more Carpathian lore.
Da Christine Feehan
Ho iniziato questo libro molti anni prima che fosse pubblicato. L'idea originale era quella di scrivere un libro di licantropi perchè volevo fare qualcosa di veramente diverso e perchè amo molto i lupi. Ho fatto molte ricerche su di loro e nello stesso tempo anche sui vampiri. Ho finito per prendere tradizioni e miti dei vampiri per metterli in un libro che rispondesse alla mia domanda : "Da dove è venuto il primo vampiro?"
Esistono tantissimi racconti sui vampiri nel passato di quasi ogni paese . Ed è stato così che sono inciampata sulla risposta --- Il popolo dei Carpaziani. La scoperta di questa razza morente, che lotta disperatamente per preservare il suo posto nel mondo mi offriva tante avventure intriganti su di loro. Questo era un libro molto eccitante e affascinante da scrivere. Mi piacevano tutti i personaggi e volevo sapere di più di ciascuno. Ho passato così tanto tempo con Mikhail e Raven, Gregori e Jacques che mi sono sentita molto triste quando ho terminato il libro. Per fortuna, nella mia testa c'erano già tante altre nuove avventure del mondo dei Carpaziani.
DARK PRINCE
Christine Feehan.
Love Spell (Paranormal Romance),
Dorchester Publishing, July 1999, 320 pages.
Amazon Bestseller List
Siren Books Bestseller List
Walmart Bestseller List
Winner for the 1999 PEARL Award for Best New Author of Paranormal Romance
Winner for the 1999 PEARL Award for Best Overall Paranormal Romance
Winner for the 1999 PEARL Award for Best Shape-Shifter
Honorable Mention for 1999 All About Romance Award for Favorite New Author
Honorable Mention for 1999 All About Romance Award for Favorite 'Other' Romance
Finalist for 1999 All About Romance Award for Most Luscious
Finalist for 1999 All About Romance Award for Favorite Romance of the Year
Finalist for 1999 All About Romance Award for Favorite Villain-Rand
Finalist for 1999 All About Romance Award for Best New Discovery
Finalist for 1999 All About Romance Award for Best New Author
Semi-Finalist for 1999 Romance Journals Fracis Award for Best Other Paranormal Romance
Winner for 1999 RBL Romantica Awards for Best Parnormal
Winner for 1999 RBL Romantica Awards for Best Secondary Character (Gregori)
Winner for 2000 Romance Books & Readers Awards for Fantasy
He came to her in the night, a predator -- strength and power chiseled his features. The seduction was deep and elemental; he affected her soul. His need. His darkness. His terrible haunting loneliness. Her senses aroused, she craved the dangerous force of his body. Burned for him. And he had only touched her with his mind.
She came to him at dawn, his bleakest hour. As the beast raged inside him, threatening to consume him, he vented his centuries-old despair in an anguished cry that filled the waning night. And she answered, a ray of light, piercing his darkness. A beautiful angel. Her compassion, courage, and innocence awakened in him an exquisite longing and tenderness. He knew he must possess her, for only she could tame his savage side and lift the dark shadow from his soul. Apart they were desolate, bereft. Intertwined physically and spiritually, they could heal one another and experience an eternity of nights filled with love.
Lui la raggiunse nella notte, da predatore -- le sembianze cesellate da forza e potere. La seduzione era profonda e primitiva; la colpì nell’anima. Il suo bisogno. La sua oscurità. La sua terribile ossessionante solitudine. I sensi di lei si destarono, le fecero desiderare la pericolosa forza del suo corpo. Bruciava per lui. E l’aveva toccata solo con la sua mente.
Lei lo raggiunse all’alba, durante le sue ore più tetre. Mentre la bestia insorgeva dentro di lui, minacciando di consumarlo, egli diresse la sua centenaria disperazione in un grido angosciato che riempì la notte.
E lei rispose, come un raggio di luce attraversò la sua oscurità. Un angelo bellissimo, la cui compassione, coraggio e innocenza risvegliarono in lui uno squisito desiderio e tenerezza.
Seppe di doverla possedere, poiché solo lei avrebbe potuto domare il suo lato selvaggio e allontanare le ombre oscure dalla sua anima. Divisi essi erano isolati e sofferenti. Uniti fisicamente e spiritualmente, essi avrebbero potuto guarirsi l’uno con l’altra e sperimentare un’eternità piena di amore.
ESTRATTO - CAPITOLO 1
traduzione by naan
Non poteva più continuare ad ingannarsi. Lentamente, con infinita stanchezza Mikhail Dubrinsky richiuse la prima edizione rilegata in pelle provando una curiosa rassegnazione. Questa era la fine. Non poteva reggere ancora. I libri che amava così tanto non potevano spazzare via la dura, cruda solitudine della sua esistenza. Lo studio era pieno di libri, dal pavimento al soffitto su tre delle quattro pareti della stanza. Li aveva letti tutti, in gran parte memorizzati durante i secoli. Non avevano più il potere di dare sollievo alla sua mente. I libri avevano alimentato il suo intelletto, ma spezzato il suo cuore.
Quell'alba, non avrebbe cercato il sonno, almeno non il sonno curativo che lo ringiovaniva, avrebbe cercato il riposo eterno e che Dio avesse pietà della sua anima. La sua razza era decimata, dispersa, caduta vittima delle persecuzioni. Aveva provato tutto, abilità, fisiche e mentali, ogni nuova tecnologia. Mikhail aveva riempito la sua vita con arte e filosofia, con il lavoro e le scienze. Conosceva ogni erba curativa ed ogni radice velenosa. Conosceva le armi degli uomini ed aveva imparato a trasformarsi in un’arma lui stesso. Era rimasto solo.
La sua gente apparteneva a una razza morente, ed egli aveva fallito verso di essa. Come loro capo, avrebbe dovuto trovare un modo di salvare coloro che dipendevano da lui. Troppi maschi stavano trasformandosi, rinunciando alla loro anima per divenire non-morti nella disperazione. Non c’erano più femmine per continuare la specie, per farli uscire dall’oscurità in cui si dibattevano. Non avevano più speranza di continuare. I maschi erano essenzialmente predatori, l’oscurità cresceva e si diffondeva dentro di loro fino a quando non rimaneva più nessuna emozione, nulla tranne l’oscurità in un mondo grigio e freddo. Era necessario per loro trovare la loro metà perduta, la compagna che li avrebbe riportati per sempre dentro la luce.
L’angoscia lo invase, consumandolo. Sollevò la testa e ruggì tutto il suo dolore come l’animale ferito che era. Non poteva più sopportare di essere solo.
"Il vero problema non è essere soli, ma sentirsi soli. Uno può sentirsi solo anche in mezzo a una folla, non credi?"
Mikhail si immobilizzò, solo i suoi occhi crudeli si mossero guardinghi, come quelli di un predatore che fiuta il pericolo. Inalò profondamente, chiudendo la sua mente all’istante mentre tutti i suoi sensi si risvegliavano per localizzare l’intruso. Era solo. Non poteva sbagliarsi. Egli era il più antico, il più potente, il più acuto. Nessuno avrebbe potuto oltrepassare le sue difese. Nessuno avrebbe potuto avvicinarglisi senza che se ne accorgesse. Curioso, si ripetè mentalmente le parole, riascoltò la voce. Femminile, giovane, intelligente.
Permise alla sua mente di aprirsi leggermente, di testare il percorso, cercare un’impronta mentale.
"Ho scoperto che è vero." ammise. Si rese conto di trattenere il respiro, di desiderare il contatto.
Un umano. Che importava? Era interessante.
"A volte mi ritiro in montagna e resto sola per giorni, settimane, e non mi sento sola, mentre a una festa, circondata da centinaia di persone, sono più sola che mai."
Lo stomaco gli si contrasse. La vocedi lei gli riempiva la mente, era soffice, musicale, sexy nella sua innocenza. Mikhail non provava nulla da secoli, il suo corpo non desiderava una donna da centinaia d’anni. Ora, nell’udire questa voce, la voce di una donna umana, si stupì del fuoco intenso che gli accendeva nelle vene.
"Mi spiace se ti ho offeso." poteva senza dubbio sentire che lo pensava davvero, poteva avvertire il suo dispiacere "Il tuo dolore era così intenso, così terribile, che non ho potuto ignorarlo. Pensavo che avresti desiderato parlarne. La morte non è la risposta all’infelicità. Penso che tu lo sappia. In ogni caso, se preferisci posso smettere."
"No!" La sua protesta era un comando, un ordine imperioso impartito da chi era abituato a immediata obbedienza.
Mikhail percepì la sua risata prima che il suono gli risuonasse nella mente. Dolce, libera, invitante. "Sei abituato ad essere obbedito da tutti quelli che ti circondano?"
"Assolutamente." Era indeciso su come prendere la sua risata. Si sentiva intrigato. Sensazioni. Emozioni. Gli si affollarono dentro fino a che non se ne sentì sommergere.
"Sei Europeo, vero? Ricco e molto, molto arrogante."
Si ritrovò a sorridere alla presa in giro. Lui non sorrideva mai. Non da seicento anni, o più. "Tutte e tre le cose." Attese di sentire ancora la sua risata, ne aveva bisogno con la stessa intensità di un drogato che desidera la sua droga.
Gli giunse bassa e divertita, carezzevole come il tocco delle dita sulla sua pelle. "Io sono Americana. Olio e acqua, non credi?"
Doveva concentrarsi su di lei, stabilire una direzione. Non avrebbe permesso che si allontanasse da lui. "Le donne americane possono essere educate con i giusti metodi." replicò deliberatamente con voce strascicata, anticipando la sua reazione.
"Sei veramente arrogante." Gli piacque il suono della sua risata, l’assaporò, l'accolse dentro di sé. Percepì la sua stanchezza, il suo sbadiglio. Ancora meglio. Le inviò una spinta mentale, molto delicata. Voleva che si addormentasse per poter esaminarla.
"Smettila!" la reazione di lei fu una rapida fuga, dolore, sospetto. Si ritirò, bloccando la sua mente in modo così rapido da lasciarlo stupito nel constatare quanto fosse esperta, quanto fosse forte per essere così giovane, per essere un’umana. Ed era umana. Di questo ne era certo. Sapeva senza bisogno di guardare che gli rimanevano cinque ore prima che il sole si levasse. Non che non potesse sopportare le prime o le ultime ore di luce. Testò il suo blocco, con delicatezza per non allarmarla. Un debole sorriso sfiorò la sua bocca ben disegnata.
Era forte, ma non forte abbastanza.
Il contorno del suo corpo, fatto di duri muscoli e forza sovrumana vibrò, scintillò, si dissolse, tramutandosi in una leggera nebbia cristallina che filtrò sotto la porta e si riversò nell’aria della notte. Gocce perlate si raccolsero, si unirono, formarono un grande uccello alato. Esso si lanciò, volò in circolo e attraverso il cielo scuro, silenzioso, letale, bellissimo nella sua forma implacabile.
Mikhail gustò il potere del volo, il vento che soffiava contro il suo corpo, l’aria della notte che gli parlava, mormorava segreti, trasportava il profumo del gioco, di uomo. Seguì infallibile la debole traccia psichica.
Così semplice. Eppure il suo sangue scorreva bollente, l’eccitazione reale. Un’umana, giovane, piena di vita e di riso, un’umana che aveva stabilito una connessione psichica con lui. Un’umana piena di compassione, intelletto e forza. Morte e dannazione potevano aspettare un altro po’ mentre soddisfava la sua curiosità.
La locanda era piccola, al limitare della foresta dove le montagne incontravano il confine della vegetazione. L’interno era scuro con solo poche luci che baluginavano debolmente in una o due camere, e forse nell’ingresso, mentre gli umani si riposavano. Atterrò sul balcone del secondo piano, all’esterno della sua finestra, e si immobilizzò, mimetizzandosi nella notte. La sua camera era una di quelle illuminate, testimoniando come fosse incapace di dormire. I suoi brucianti occhi scuri la trovarono attraverso il vetro. La trovarono, e la reclamarono.
Era di ossatura delicata, con le giuste curve, vita stretta e folti capelli neri che le ricadevano sulla schiena attirando l’attenzione sul suo fondoschiena arrotondato. Gli si fermò il fiato in gola. Era squisita, bella, la pelle come seta, gli occhi incredibilmente grandi, di un blu intenso adornati di lunghe ciglia sottili. Non un dettaglio gli sfuggì. Una camicia da notte di pizzo bianco aderiva alla sua pelle, abbracciandole il seno alto e pieno, e denudandole la linea della gola, le spalle. I suoi piedi erano piccoli come le sue mani. Così tanta forza in un corpo così piccolo.
Si spazzolava i capelli, in piedi davanti alla finestra, mentre guardava fuori senza vedere. Il suo viso aveva un’espressione assente, c’erano linee di tensione attorno la sua bocca piena e sensuale. Poteva avvertire il dolore che c'era dentro di lei, la necessità di quel sonno che si rifiutava di venire. Si ritrovò a seguire ogni movimento della spazzola, innocente, erotico. Imprigionato nella forma dell’uccello, il suo corpo si tese. Alzò gli occhi al cielo in riverente ringraziamento. Dopo secoli passati nell’impossibilità di provare emozioni, sentire di nuovo era una gioia oltre misura.
Ad ogni movimento della spazzola il seno si sollevava invitante, enfatizzando la stretta cassa toracica e la vita sottile. Il pizzo aderiva al suo corpo, rivelando la v scura alla congiunzione delle gambe. Gli artigli affondarono nella ringhiera, lasciando lunge cicatrici nel legno, ma Mikhail continuò a guardare. I suoi movimenti erano aggraziati, seducenti. Il suo sguardo bruciante si posò sulla gola morbida, sul collo dove pulsava il battito regolare. Sua. Respinse bruscamente quel pensiero, scosse la testa.
Occhi blu. Blu. Aveva occhi blu. Fu solo in quel momento che si accorse di vedere a colori. Vividi, brillanti colori. Si immobilizzò. Non poteva essere.
I maschi perdevano l’abilità di vedere oltre la monotonia di grigi e ombre quasi nello stesso momento in cui perdevano le loro emozioni. Non poteva essere. Solo una compagna poteva riportare i colori e le emozioni nella vita di un maschio. Le donne Carpaziane erano la luce nell’oscurità dei loro maschi. La sua altra metà. Senza di lei, la bestia avrebbe lentamente consumato l’uomo fino alla completa oscurità. Non era rimasta più alcuna femmina Carpaziana che potesse generare future compagne. Le poche rimaste sembravano essere in grado di partorire solo maschi. Era una situazione senza speranza. Le donne umane non potevano essere convertite senza essere danneggiate al punto da doverle distruggere. Era già stato provato. Quest’umana non poteva assolutamente essere la sua compagna.
Mikhail la guardò spegnere la luce e sdraiarsi sul letto. Sentiva la tensione nella sua mente, la ricerca.
"Sei sveglio?" la domanda di lei era incerta
Dapprima si rifiutò di risponderle, disturbato dal fatto di sentirne così tanto il bisogno. Non poteva permettersi di perdere il controllo, non osava. Nessuno aveva potere su di lui. Sicuramente non un soldo di cacio di Americana, una piccola donna con più forza che buon senso. Non capiva nulla di ciò che stava accadendo e con quelle nuove intense emozioni, temeva ogni suo avvicinarsi, ogni suo opporsi fino a che non fosse certo di avere il completo controllo di se stesso.
"So che puoi sentirmi. Scusami se mi sono intromessa. E' stato sconsiderato da parte mia, non succederà ancora. Ma giusto per la cronaca, non provare ad importi ancora a me."
Era contento di trovarsi in forma animale, così non poteva sorridere. Lei non aveva idea di cosa fosse un'imposizione. "Non mi hai offeso." Inviò quella rassicurazione in toni gentili. Aveva per forza dovuto risponderle, quasi fosse stato costretto. Aveva bisogno di sentire il suono della sua voce, il lieve sussurro sfiorargli la testa come dita sulla pelle.
Lei si rigirò, mise a posto il cuscino, si strofinò le tempie come se le dolessero. Una mano chiusa sulle lenzuola sottili. Mikhail voleva toccare quella mano, sentire la sua pelle calda e setosa sotto la propria. "Perchè cerchi di controllarmi?" era una domanda puramente intellettuale, come lei voleva che fosse. Mikhail si accorse di averle causato dolore in qualche modo, di averla delusa. Lei si agitò, inquieta come se stesse aspettando il suo amante.
Il pensiero di lei con un altro uomo lo infuriò. Sensazioni dopo centinaia di anni. Acute, chiare, focalizzate. Vere sensazioni. "E' nella mia natura controllare." Si sentiva euforico, felice, eppure allo stesso tempo consapevole di essere più pericoloso di quanto fosse mai stato. Il potere necessitava sempre controllo. Meno erano le emozioni, più facile era limitarle.
"Non provare a controllarmi." C'era qualcosa nella sua voce, qualcosa che percepiva più che riconoscere, come se lei sapesse quale minaccia lui fosse per lei. Minaccia che sapeva di essere.
"Come fa uno a controllare la propria natura, piccola?"
La vide sorridere, e fu come se il vuoto dentro di lui si riempisse, come se gli marchiasse il cuore e i polmoni, e gli mandasse il sangue in ebollizione.
"Perché pensi che sia piccola? Sono grande come una casa."
"Devo crederci?"
La risata svanì dalla sua voce e dai suoi pensieri, permase nel sangue di lui. "Sono stanca, e di nuovo, mi scuso. Mi è piaciuto parlare con te."
"Ma?" la sollecitò lui gentilmente.
"Addio." Finalità.
Mikhail spiccò il volo, levandosi in alto sopra la foresta. Non era un addio. Non lo avrebbe permesso. Non poteva permetterlo. La sua sopravvivenza dipendeva da lei. Qualcosa, qualcuno aveva risvegliato il suo interesse, la volontà di vivere. Lei gli aveva ricordato che esistevano cose come il riso, che nella vita c'era molto di più che non mera esistenza. Egli possedeva poteri e conoscenza che andavano al di là dell'immaginazione, e nel corso dei secoli, la sua natura si era inasprita e definita, entrambi i suoi aspetti, il buono e il cattivo. Serviva un incredibile autocontrollo per andare avanti, continuare un'esistenza solitaria e sterile.
Volò sopra la foresta, per la prima volta dopo secoli meravigliandosi della veduta. La trama di rami ondulanti, il modo in cui i raggi della luna versavano sugli alberi e bagnavano i ruscelli d'argento. Era tutto così bello. Lei gli aveva donato un dono senza prezzo, un incalcolabile tesoro. Una donna umana era in qualche modo riuscita a fare questo per lui. Ed era umana. Lo avrebbe capito all'istante se fosse stata della sua razza. Era possibile che la sua voce avesse lo stesso effetto anche sugli altri maschi al limite della disperazione?
Entro la protezione della sua casa egli camminò con un'energia dimenticata da tempo. Pensò alla sua pelle morbida, come sarebbe stata sotto il suo palmo, sotto il suo corpo, come sarebbe stato gustarla. Lo eccitava pensare alla sua chioma setosa che gli accarezzava il corpo, alla linea della sua gola vulnerabile esposta a lui. Il suo corpo si tese inaspettatamente. Non era la tiepida attrazione fisica che aveva provato da ragazzo, ma un implacabile bisogno esigente e selvaggio. Turbato dalla piega erotica che i suoi pensieri avevano iniziato a inseguire, Mikhail si impose una rigida disciplina. Non poteva permettersi di provare una passione vera. Era stupito di scoprire di essere un uomo possessivo, mortale nella sua collera e protettivo oltre misura. Questo tipo di passione non poteva essere condivisa con un'umana, era troppo pericolosa.
Questa donna era libera, forte per una mortale e avrebbe lottato contro il sua natura ad ogni occasione. Lui non era umano. La sua era una razza di esseri con istinti animali, impressi prima della nascita. Meglio mantenere le distanze e soddisfare la curiosità a un livello intellettuale. Meticolosamente chiuse ogni porta e finestra, mise protezioni ad ogni entrata attraverso sortilegi invalicabili prima di scendere nella camera del sonno. La stanza era protetta da minacce ancora più potenti. Se doveva rinunciare alla propria vita, sarebbe stato per sua scelta. Si sdraiò sul letto, non c'era bisogno del suolo risanatore nel profondo della terra, poteva godere delle comodità mortali. Chiuse gli occhi, e rallentò il respiro.
Il corpo di Mikhail rifiutò di obbedire. La sua mente era piena di immagini di lei, di scene erotiche che lo tentavano. Una visione di lei sdraiata nel suo letto, del suo corpo nudo sotto il pizzo bianco, delle sue braccia protese ad accogliere il suo amante. Imprecò piano. Invece di se stesso, immaginò un altro uomo possederla. Un umano. La furia lo invase, cruda e mortale.
Pelle come raso, capelli come seta. La sua mano si mosse. Costruì la visione di proposito e con precisione mortale nella sua mente. Fece attenzione ad ogni dettaglio, persino allo sciocco smalto delle unghie dei piedi. Le sue forti dita racchiusero la caviglia, sentirono la trama della pelle. Col respiro mozzato, il suo corpo si tese di anticipazione. Fece scorrere il palmo sul polpaccio, massaggiando, tentando, si mosse ancora più su, il ginocchio, la coscia.
Mikhail riconobbe il preciso momento in cui lei si svegliò, il corpo in fiamme. La sua sensazione di allarme, la sua paura sbatterono dentro di lui. Deliberatamente, per mostrarle con chi aveva a che fare, il suo palmo trovò l'interno della coscia, lo strinse, lo accarezzò.
"Fermo!" il corpo di lei ardeva per lui, desiderava che la toccasse, che la possedesse. Egli poteva sentire l'affannoso martellare del suo cuore, sentire la forza della mente mentre lottava contro di lui.
"Ti ha mai toccata così un altro uomo?" le sussurrò le parole nella mente, oscuro, sensuale.
"Dannazione a te, fermati!" lacrime brillarono come gioielli sulle ciglia, nella sua mente "Tutto quello che volevo era aiutarti. Ti ho chiesto scusa."
La mano di lui si spostò ancora più in alto perchè doveva, trovò seta e calore, piccoli riccioli a guardia del tesoro. Il suo palmo coprì il triangolo possessivamente, spinse nell'umido calore. "Mi risponderai, piccola. Faccio ancora tempo a venire da te, mettere il mio marchio su di te, possederti." la mise in guardia suadente "Rispondimi."
"Perchè stai facendo questo?"
"Non sfidarmi." la sua voce adesso era rauca, cruda nel suo bisogno. Le sue dita si mossero, cercarono, trovarono il punto più sensibile "Sono eccezionalmente gentile con te..."
"Sai già che la risposta è no." gli sussurrò lei sconfitta.
Egli chiuse gli occhi, riuscì a calmare i demoni dentro di sé. "Dormi, piccola, nessuno ti farà del male stanotte." Interruppe il contatto e trovò il proprio corpo duro, pesante, bagnato di sudore. Era troppo tardi per impedire alla bestia dentro di lui di liberarsi. Stava bruciando di desiderio, ne era consumato, martelli picchiavano la testa, fiamme lambivano la pelle e nervi. La bestia era libera, mortale, affamata. Era stato più che gentile. Lei aveva inavvertitamente liberato il mostro. Si augurò che fosse forte come pensava di essere.
Mikhail chiuse gli occhi disgustato da se stesso. Aveva imparato secoli prima che c'era ben poco da fare. E questa volta non voleva combattere. Non era solo una forte attrazione sessuale questa che provava, era molto di più. Era qualcosa di primitivo. Qualcosa di profondo dentro di lui che chiamava qualcosa di profondo dentro di lei. Forse era colpa del lungo autoimposto isolamento, forse lei desiderava il lato selvaggio che era in lui, così come lui desiderava la risata e la compassione che c'era in lei. Aveva importanza? Non ci sarebbe stato scampo per nessuno dei due.
Le toccò la mente gentilmente prima di chiudere gli occhi e permettere al suo respiro di cessare. Lei stava piangendo silenziosamente, il suo corpo insoddisfatto a causa dell'effetto del suo tocco mentale. C'era sofferenza e confusione in lei, e le doleva la testa. Senza rifletterci, senza ragione, la avvolse nella forza delle sue braccia, le accarezzò i capelli setosi e le inviò calore e conforto. "Mi dispiace di averti spaventata, piccola, ho sbagliato. Ora dormi tranquilla." Mormorò quelle parole contro la sua tempia, le sue labbra che le sfioravano la fronte con gentilezza, accarezzandole la mente teneramente.
Poteva sentire la curiosa frammentazione nella sua mente, come se stesse usando le sue abilità mentali per seguire un percorso tortuoso e malato. Era come se avesse delle ferite aperte e sanguinanti nella sua mente che avevano bisogno di guarire. Era troppo provata dalla loro precedente battaglia mentale per contrastarlo. Egli respirò con lei, per lei, piano e regolarmente, adeguandosi al suo battito cardiaco fino a che non si rilassò, assonnata ed esausta. La fece dormire, un comando sussurrato, e le sue palpebre si abbassarono. Si addormentarono insieme, eppure divisi, lei nella sua stanza, Mikhail nella sua camera.
I colpi alla porta penetrarono gli abissi del sonno. Raven Whitney lottò contro la fitta nebbia che le chiudeva gli occhi e le appesantiva il corpo. Provò una sensazione di allarme. Si sentiva come se fosse stata drogata. Il suo sguardo trovò la piccola sveglia sul tavolino accanto al letto. Erano le sette di sera. Aveva dormito tutto il giorno. Si sollevò lentamente sedendosi, con la sensazione di muoversi attraverso le sabbie mobili. I colpi alla porta ricominciarono.
Il suono le echeggiò nella testa, le rimbombò nelle tempie. "Cosa?" Si sforzò di mantenere la voce calma, anche se il suo cuore le martellava con violenza nel petto. Era in pericolo. Doveva raccogliere velocemente le sue cose, scappare. Sapeva quanto futile potesse essere. Non era stata forse lei ad aver seguito le tracce di quattro assassini seriali attraverso il sentiero mentale dei loro pensieri? E quest'uomo era mille volte più potente di lei. La verità era, la intrigava il fatto che un'altra persona possedesse abilità psichiche. Non aveva mai incontrato nessuno che le somigliasse, prima. Voleva restare e imparare da lui, ma lui era troppo pericoloso nell'uso noncurante del suo potere. Avrebbe dovuto mettere distanza, forse anche l'oceano, tra loro per sentirsi veramente sicura.
"Raven, stai bene?" la voce maschile era colma di preoccupazione.
Jacob. Aveva incontrato Jacob e Shelly Evans, fratello e sorella, la notte prima nella sala da pranzo quando erano arrivati, non appena scesi dal treno. Erano in viaggio con un gruppo di circa otto persone. Ma lei era stanca e la conversazione era stata confusa.
Raven era venuta nei Carpazi per restare da sola, e recuperare le forze dopo l'ultimo compito di seguire la mente contorta di un depravato assassino. Non voleva la compagnia del gruppo turistico, e tuttavia Jacob e Shelly l'avevano cercata. Erano stati cancellati dai suoi pensieri in modo molto efficiente. "Sto bene, Jacob, solo un po' di influenza, credo." lo rassicurò, sentendosi tutt'altro che bene. Si passò una mano tremante tra i capelli. "Sono solo stanca. Sono venuta qui per riposare."
"Non vieni a cena con noi?" il tono era lamentoso e questo la infastidì. Non voleva essere destinataria di alcuna richiesta e l'ultima cosa di cui aveva bisogno era trovarsi in una sala da pranzo affollata circondata da tanta gente.
"Mi spiace, un'altra volta magari." Non aveva il tempo di essere educata.
Come aveva potuto fare un errore come quello della notte scorsa? Era sempre così prudente nell'evitare ogni contatto, nel non toccare nessun altro essere umano che le venisse vicino.
Il fatto era che questo straniero aveva inviato così tanto dolore, così tanta solitudine. Aveva capito istintivamente che aveva poteri telepatici, e che il suo isolamento era ancora più grande del suo, che il suo dolore era così profondo da indurlo a considerare di mettere fine alla sua vita. Lei sapeva cos'era l'isolamento. Come ci si sentiva ad essere diversi. Era stata incapace di tenere chiusa la bocca, aveva dovuto aiutarlo per quel che poteva. Raven si massaggiò le tempie tentando di alleviare il dolore che le pulsava nella testa. Le faceva sempre male dopo aver usato i suoi poteri telepatici.
Si alzò, muovendosi lentamente verso il bagno. Lui la stava controllando pur senza contatto. Il pensiero la terrorizzava. Nessuno poteva essere così potente. Aprì la doccia completamente desiderando che il forte getto d'acqua le schiarisse le idee.
Era venuta qui per riposarsi, per pulire la sua mente dal tanfo del male, per sentirsi nuovamente pulita e completa. Il suo dono psichico richiedeva molta energia, e fisicamente si sentiva consumata. Raven sollevò il mento. Questo nuovo avversario non l'avrebbe spaventata. Lei possedeva controllo e disciplina. E questa volta poteva andarsene. Nessuna vita innocente era in pericolo
Con atteggiamento di sfida, indossò un paio di jeans sbiaditi e un maglione. Ebbe la sensazione che lui appartenesse al Vecchio Mondo e che avrebbe avuto da ridire sui suoi indumenti americani. Fece velocemente fagotto, buttando nella vecchia valigia abiti e accessori a casaccio, più svelta che poteva.
Consultò sbigottita gli orari dei treni. Non erano previsti treni per oltre due giorni ancora. Poteva usare il suo fascino per chiedere un passaggio a qualcuno ma quello significava trovarsi nei limitati confini di una macchina per un esteso periodo di tempo. Era probabilmente il minore tra i due mali.
Sentì una risata maschile, bassa, divertita, beffarda. "Vorresti provare a fuggire da me, piccola."
Raven ricadde sul letto, col cuore che iniziava a battere forte. La sua voce era velluto nero, un'arma di per sé.
"Non ti sopravvalutare, casanova, sono una turista, faccio del turismo." Impose alla sua mente di essere calma anche se sentiva il tocco delle sue dita sul viso. Come riusciva a farlo? Era la più soffice delle carezze, ma la sentiva fino ai piedi.
"E dove stavi pensando di fare del turismo?" lui si stava stirando pigramente, il corpo rinvigorito dal sonno, la mente ancora una volta viva di sensazioni. Si stava divertendo a discutere con lei.
"Lontano da te e dai tuoi giochi bizzarri. Forse in Ungheria. Ho sempre voluto andare a Budapest."
"Piccola bugiarda. Pensi di scappare negli Stati Uniti. Giochi a scacchi?"
Lei batté le palpebre alla strana domanda. "Scacchi?" ripeté.
Il divertimento maschile poteva essere molto seccante. "Scacchi."
"Sì, e tu?"
"Naturalmente."
"Gioca con me."
"Ora?" lei iniziò a intrecciare la pesante massa di capelli. C'era qualcosa di seducente nella sua voce, di ipnotizzante. Qualcosa che toccò le corde del suo cuore, e insinuò il terrore nella sua mente.
"Devo nutrirmi prima. E tu sei affamata. Posso sentire il tuo mal di testa. Vai a cena e poi ci incontreremo alle undici questa notte."
"Neanche per idea. Non ho intenzione di incontrarti."
"Hai paura." era chiaramente una provocazione.
Lei rise di lui, e quel suono gli avvolse il corpo di fiamme. "Posso fare cose sciocche occasionalmente, ma non sono una sciocca."
"Dimmi il tuo nome." era un ordine e Raven si sentì forzata ad obbedire.
Lei forzò la sua mente a svuotarsi, come una lavagna pulita. Faceva male, inviava fitte di dolore attraverso la testa, le faceva contrarre lo stomaco. Non le avrebbe preso con la forza quello che avrebbe dato spontaneamente.
"Perchè mi combatti quando sai che io sono il più forte? Ti fai del male, ti stanchi e alla fine, io vincerò comunque. Posso sentire il peso che questo modo di comunicare ha su di te. E sono in grado di ottenere la tua obbedienza a un livello ben superiore."
"Perchè pretendi ciò che avrei dato, se tu avessi semplicemente chiesto?"
Lei avvertì la sua perplessità. "Mi dispiace, piccola, sono abituato ad averla vinta con il minor sforzo possibile."
"Anche a spese della semplice cortesia?"
"A volte è più vantaggioso."
Lei colpì con un pugno il cuscino. "Hai bisogno di lavorare sulla tua arroganza. Solo perchè possiedi potere non vuol dire che lo devi ostentare."
"Dimentichi che la maggior parte degli umani non riconoscono un impulso mentale."
"Quella non è una scusa per privare della volontà. E comunque tu non usi un impulso, tu invii un ordine e pretendi obbedienza. E questo è ancora peggio, perchè trasformi le persone in pecore. Non è molto più vicino alla verità?"
"Mi stai rimproverando." C'era una punta di irritazione nei suoi pensieri questa volta, come se tutta quella maschile derisione si stesse assotigliando.
"Non provare a forzarmi."
Questa volta c'era minaccia, un'ombra di pericolo si celava nella sua voce "Non dovrei provare, piccola, stai certa che posso forzare la tua obbedienza." il suo tono era morbido e spietato.
"Sei come un bambino viziato che vuole sempre averla vinta." Lei si alzò, abbracciando il cuscino contro lo stomaco che protestava. "Vado di sotto a cenare, la mia testa sta iniziando a pulsare. Tu puoi ficcare la tua in un secchio d'acqua e raffreddare i bolllenti spiriti." Non stava mentendo, lo sforzo di combatterlo al suo livello la stava facendo stare male. Si spostò cautamente verso la porta, temendo che potesse fermarla. Sarebbe stata più sicura in mezzo alla gente.
"Il tuo nome, per favore, piccola." Le venne chiesto con solenne cortesia.
Raven si ritrovò a sorridere a dispetto di tutto. "Raven, Raven Whitney."
"Bene, Raven Whitney, mangia, riposa, ritornerò alle undici per la nostra partita di scacchi."
Il contatto si interruppe bruscamente. Raven lasciò uscire il respiro lentamente, fin troppo consapevole che avrebbe dovuto provare sollievo, e non sentirsi abbandonata. C'era seduzione nella sua voce ipnotica, nella sua risata mascolina, nella loro stessa conversazione. Lei provava la stessa solitudine di lui. Non permise a se stessa di pensare al modo in cui il suo corpo si era destato, desiderando il tocco delle sue dita. Infiammandosi. Desiderando. Provando bisogno. E l'aveva toccata solo con la sua mente. La seduzione andava oltre la fisicità, era qualcosa di profondamente primitivo che non riusciva a comprendere appieno. Lui le aveva toccato l'anima. L'avevano toccata il suo bisogno. L'oscurità. La sua terribile, ossessionante solitudine. Anche lei aveva bisogno. Di qualcuno che capisse come fosse essere soli, avere paura di toccare un altro essere umano, di avvicinarsi troppo. Le piaceva la sua voce, l'eleganza del Vecchio Mondo, la sciocca arroganza maschile. Voleva la sua conoscenza, le sue abilità.
La sua mano tremò nell'aprire la porta, nel respirare l'aria del corridoio. Il suo corpo era di nuovo suo, e si muoveva leggero e fluido, obbendendo alla sua volontà. Corse giù per le scale ed entrò nella sala da pranzo.
Molti dei tavoli erano occupati, certamente più che non la sera precedente. Solitamente, Raven cercava di evitare il più possibile i locali pubblici, preferendo non doversi preoccupare di proteggersi da emozioni indesiderate. Prese un profondo respiro ed entrò.
Jacob alzò lo sguardo con un sorriso di benvenuto, si alzò, come per aspettare che lei si unisse al suo tavolo. Raven gli sorrise in risposta, inconsapevole di come appariva, innocente, sexy, totalmente irraggiungibile. Attraversò la stanza, salutò Shelly e venne presentata a Margaret e a Harry Summers. Amici americani. Cercò di non mostrare la sensazione di allarme. Sapeva che la sua foto era stata pubblicata da tutti i quotidiani e anche in televisione durante l'investigazione sull'ultimo criminale. Non voleva essere riconosciuta, non voleva rivivere il terribile incubo della mente depravata e contorta dell'uomo. Non doveva esserci discussione su un argomento simile a cena.
"Siediti qui, Raven." Jacob cortesemente scostò una sedia dall'alto schienale per lei.
Evitando attentamente il contatto della pelle, Raven si concesse di sedersi. Era un inferno trovarsi così vicina a così tante persone. Da bambina era stata sopraffatta dal bombardamento di emozioni che la circondavano. Per poco non era diventata pazza, fino a quando aveva imparato a proteggersi, a innalzare uno scudo. Funzionava, a meno che il dolore e la preoccupazione non fossero troppo elevati, o che toccasse un altro essere umano. O a meno che non si trovasse in presenza di una mente molto malata e malvagia.
Ora, mentre la conversazione fluiva attorno a lei e tutti sembravano divertirsi, Raven stava sperimentando i classici segnali di sovraccarico. Scheggie di vetro le trafiggevano il cranio, lo stomaco protestava torcendosi, effetti, ne era certa, della sua prolungata esposizione all'assassino. Non avrebbe potuto mangiare nulla, concentrandosi invece nel fingere di apprezzare la conversazione al tavolo.
Mikhail inspirò l'aria della notte, si mosse lentamente attraverso la piccola cittadina alla ricerca di ciò di cui aveva bisogno. Non una donna. Non poteva sopportare di toccare il corpo di un'altra donna. Era eccitato, pericoloso nello stato in cui si trovava e troppo vicino alla trasformazione. Avrebbe potuto perdere il controllo. Così era necessario che fosse un uomo. Si mosse facilmente in mezzo alla gente, scambiando saluti con coloro che lo conoscevano. Era molto rispettato, ben visto.
Scivolò dietro un giovane uomo fisicamente perfetto, forte. Il suo odore indicava salute, vene piene di vita. Dopo una breve, facile conversazione, Mikhail gli diede l'ordine, con voce morbida, e gli passò amichevolemente un braccio sulle spalle. Nascosto tra le ombre egli chinò la sua testa scura e si nutrì. Fece attenzione nel tenere le emozioni fermamente sotto controllo. Gli piaceva questo giovane uomo, conosceva la sua famiglia. Non poteva fare errori.
Nel momento in cui rialzò la testa un'ondata di angoscia lo colpì. Raven. Aveva inconsciamente cercato il contatto con lei, toccando gentilmente la sua mente per assicurarsi che fosse ancora con lui. Allarmato, finì velocemente, liberando il giovane uomo dalla trance e impiantando nella sua mente il ricordo della conversazione, ridendo amichevolmente e accettando la sua stretta di mano, sostenendolo quando si sentì mancare.
Mikhail aprì la sua mente, focalizzò la traccia e la seguì. Erano passati anni, le sua abilità erano arrugginite, ma poteva ancora 'vedere' quando voleva. Raven era seduta a un tavolo con due coppie. Di fuori appariva bella, serana. Ma lui conosceva la verità, poteva sentire la sua confusione, il dolore implacabile dentro la sua testa, il suo desiderio di alzarsi e fuggire da tutti. I suoi occhi, brillanti come zaffiri, erano tormentati, c'erano ombre sul suo viso pallido. Teso. Lo stupiva vedere quanto forte fosse, non c'era alcuna falla telepatica, nessuno che possedesse poteri telepatici, oltre a lui, avrebbe potuto dire che fosse preoccupata.
Poi, l'uomo accanto a lei si protese, la guardò negli occhi, un'espressione bramosa sulla sua faccia, desiderio nei suoi occhi. "Vieni a fare una passeggiata con me, Raven," suggerì e la sua mano si mosse dalla tavola per posarsi sul ginocchio di lei.
Istantaneamente il dolore nella testa di Raven aumentò, premendo contro il cranio, provocandole fitte dietro gli occhi. Scostò la gamba dalla mano di Jacob. Il demone dentro di lui si risvegliò, infuriato, si liberò. Mikhail non aveva mai provato una furia così terribile. Lo invase, lo riempì, divenne lui. Che qualcuno potesse farle del male in quel modo, casualmente, senza neppure rendersene conto, o preoccuparsene. Che qualcuno potesse toccarla mentre era vulnerabile, e indifesa. Che un uomo osasse mettere le sue mani su di lei. Egli si lanciò attraverso il cielo, l'aria gelida che soffiava sulla sua rabbia.
Raven avvertì la potenza della sua collera. L'aria della stanza si ispessì, fuori il vento si alzò in turbini demoniaci. I rami degli alberi tempestarono le pareti esterne, il vento battè contro le finestre. Alcuni camerieri si segnarono, guardando spaventati nella notte, nera e improvvisamente senza stelle. Nella stanza calò inaspettatamente uno strano silenzio, come se tutti stessero trattenendo il fiato.
Jacob ansimò, portandosi entrambe le mani alla gola, artigliandola come se forti dita lo stessero strangolando. La sua faccia si fece prima rossa, poi si chazzò, gli occhi si gonfiarono. Shelly urlò. Un giovane cameriere corse per assistere l'uomo che stava soffocando. La gente iniziò ad alzarsi, ad allungarsi per vedere.
Raven si sforzò di restare calma. Le emozioni stavano correndo troppo velocemente perchè lei ne rimanesse illesa. "Lascialo." ma le rispose solo silenzio. Sebbene il cameriere dietro di lui tentasse disperatamente la mossa di Heimlich, Jacob cadde sulle ginocchia, le labbra blu, gli occhi rovesciati. "Per favore, te lo sto chiedendo, per favore. Lascialo. Per me."
Improvvisamente Jacob inalò scosso da un terribile conato, faticosamente e raucamente. Sua sorella e Margaret Summers erano accovacciate accanto a lui, con gli occhi pieni di lacrime. Istintivamente Raven si mosse verso di lui.
"Non toccarlo!" l'ordine fu aspro, privo di ogni spinta mentale, più terrificante che se l'avesse forzata ad obbedire.
Raven era sopraffatta da emozioni che provenivano da ogni parte, da tutti coloro che erano nella stanza. Il dolore e il terrore di Jacob. La paura di Shelly, l'orrore della locandiera, la reazione scioccata dei Summers. La stavano sommergendo, percuotendo il suo già fragile stato. Ma fu la rabbia devastante di lui a riempirle la testa di fitte acute come aghi, dolorose come martelli che battevano. Lo stomaco pesante, preso dai crampi, Raven si piegò quasi in due, cercando disperatamente il bagno delle signore. Se qualcuno l'avesse toccata cercando di portarle aiuto, sarebbe potuta impazzire.
"Raven." la voce era calda, sensuale, carezzevole. Bella. Rassicurante. Velluto nero. La calma nell'occhio della tempesta.
Un silenzio curioso cadde nella stanza mentre Mikhail entrava. Aveva una postura arrogante, un'aria di completa padronanza. Alto, scuro, muscoloso, erano i suoi occhi brillanti di energia, di oscurità, di migliaia di segreti che attiravano immediata attenzione. Quegli occhi potevano incantare, ipnotizzare, come il potere della sua voce. Egli si mosse con determinazione, facendo scappare i camerieri.
"Mikhail, è un piacere averti con noi," esclamò la locandiera piacevolmente sorpresa.
Le rivolse un'occhiata, i suoi occhi oltrepassarono la sua figura formosa. "Sono venuto per Raven. Abbiamo un appuntamento questa sera." disse con voce morbida, imperiosa, e nessuno osò discutere con lui. "Mi ha sfidato a scacchi."
La locandiera annuì sorridendo. "Divertitevi."
Raven vacillò, premendosi le mani sullo stomaco, con i grandi occhi color zaffiro, alzò il viso al suo avvicinarsi. Le fu accanto prima che potesse muoversi, tendendo le mani verso di lei.
"Non farlo." Chiuse gli occhi, terrorizzata al pensiero del suo tocco. Aveva già raggiunto il sovraccarico emotivo, non sarebbe stata in grado di sostenere le emozioni provenienti da lui.
Mikhail non esitò, prendendola tra le braccia, imprigionandola contro il proprio torace. La sua faccia era una maschera di granito mentre si voltava e la portava fuori della stanza. Dietro di loro il vocio ricominciò, ripresero i bisbigli.
Raven si tese, aspettandosi l'aggressione ai suoi sensi, ma lui aveva chiuso la sua mente e tutto ciò di cui fu consapevole fu l'incredibile forza delle sue braccia. La portò fuori nella notte, muovendosi rapido e tranquillo, come se il suo peso non fosse di alcuna importanza.
"Respira, piccola, aiuterà." C'era una traccia di divertimento nel calore della sua voce.
Raven fece come suggerito, troppo esausta per ribellarsi. Era venuta qui in questo luogo selvaggio e solitario per guarire, invece, si sentiva ancor più frammentata. Aprì cautamente gli occhi, guardando verso di lui attraverso le lunghe ciglia.
I suoi capelli erano del colore scuro dei chicchi di caffè, di un espresso, raccolti sulla nuca. La sua faccia era quella di un angelo, o di un diavolo, forza e potere, una bocca sensuale vagamente crudele, gli occhi socchiusi erano ossidiana nera, ghiaccio nero, pura magia nera.
Non poteva leggergli dentro, non poteva avvertire le sue emozioni o sentire i suoi pensieri. Non le era mai successo prima. "Mettimi giù, mi sento sciocca con te che mi porti in braccio come un qualche pirata." Con lunghe falcate lui la stava portando nel folto della foresta. I rami ondulavano, i cespugli frusciavano. Il cuore di lei batteva fuori controllo. Si irrigidì, premette contro le sue spalle, lottando inutilmente.
Gli occhi di lui percorsero possessivi il suo viso, ma non rallentò il passo, e non le rispose. Era veramente umiliante che non sembrasse neppure notare i suoi tentativi di liberarsi.
Raven permise alla sua testa di posarsi contro la sua spalla con un sospiro. "Mi hai rapita o salvata?"
Una fila di denti bianchi brillarono, un sorriso da predatore, divertimento maschile. "Forse un po' di entrambi."
"Dove mi stai portando?" si premette una mano sulla fronte, non voleva una battaglia, né fisica né mentale.
"Nella mia casa. Abbiamo un appuntamento. Sono Mikhail Dubrinsky."
Raven si massaggiò le tempie. "Questa potrebbe non essere una buona notte per me. Mi sento..." si interruppe intravedendo il movimento di un'ombra che li seguiva. Il suo cuore quasi si fermò. Si guardò attorno, ne vide una seconda, poi una terza. Le sue mani si aggrapparono alle sue spalle. "Mettimi giù, Dubrinsky."
"Mikhail," la corresse, senza rallentare. Un sorriso ammorbidì la linea della sua bocca. "Hai visto i lupi?" Raven sentì la scrollata indifferente delle sue larghe spalle. "Stai tranquilla, piccola, non ci faranno del male. Questa è la loro casa, così come è la mia. Abbiamo un accordo e viviamo in pace."
In qualche modo lei gli credette. "Hai intenzione di farmi del male?" gli chiese piano, poichè aveva bisogno di sapere.
I suoi occhi neri toccarono di nuovo il suo viso, pensosi, colmi di migliaia di segreti, inconfondibilmente possessivi. "Non sono un uomo che farebbe male a una donna nel modo che immagini. Ma sono certo che la nostra relazione non sarà sempre tranquilla. A te piace sfidarmi." le rispose più onestamente che poteva.
Il modo in cui la guardava la faceva sentire come se gli appartenesse, come se avesse dei diritti su di lei. "Hai sbagliato a ferire Jacob, sai. Potevi ucciderlo."
"Non difenderlo, piccola, gli ho permesso di vivere per fare piacere a te, non sarebbe stato un problema finirlo."
Sarebbe stato piacevole. Nessun uomo aveva il diritto di mettere le mani sulla donna di Mikhail e farle del male come quell'umano aveva fatto. L'inabilità dell'uomo di vedere il dolore che stava causando a Raven, non lo assolveva dal suo peccato.
"Non puoi intendere quello che hai detto. Jacob è innocuo. Era attratto da me." tentò di spiegare gentilmente.
"Non nominerai il suo nome in mia presenza. Ti ha toccata, ha messo una mano su di te." si fermò bruscamente, nel cuore della foresta, selvaggio e indomito come il branco di lupi che li circondava. Non stava neppure ansimando come se non avesse percorso miglia portandola in braccio. I suoi occhi neri erano spietati e guardavano i suoi. "Ti ha causato molto dolore."
Lei trattenne il respiro mentre lui chinava il capo. La sua bocca indugiò a pochi millimetri da quella di lei, facendole sentire il respiro sulla pelle. "Non disobbedirmi in questo, Raven. Quell'uomo ti ha toccata, ti ha fatto del male, e io non vedo ragione per cui debba vivere."
Gli occhi di lei scrutarono i suoi lineamenti, duri e implacabili. "Sei serio, non è vero?" Non voleva sentire il calore che l'invadeva alle sue parole. Jacob le aveva fatto del male, il dolore era stato così intenso che le aveva rubato il respiro, e in qualche modo, quando nessun altro se n'era accorto, Mikhail aveva saputo.
"Mortalmente serio." riprese a camminare a lunghi passi.
Raven rimase silenziosa, cercando di risolvere il dilemma. Conosceva il male, l'aveva inseguito, si era riempita di esso, della mente depravata e oscena di un assassino. Quest'uomo parlava di uccidere come se fosse niente, eppure non sentiva il male in lui. Avvertiva un senso di pericolo, di grande pericolo venire da Mikhail Dubrinsky. Un uomo con un potere illimitato, arrogante nella sua forza, un uomo che credeva di avere dei diritti su di lei.
"Mikhail?" il suo corpo snello stava cominciando a tremare. "Voglio tornare."
Gli occhi scuri tornarono sul suo viso, notando le ombre, la paura indugiare nel suo sguardo azzurro. Il suo cuore stava battendo forte, il suo corpo sottile tremava nelle sue braccia. "Tornare dove? Alla morte? All'isolamento? Non hai nulla a che fare con quella gente e tutto con me. Tornare non è la risposta. Presto o tardi non sarai più in grado di accollarti le loro richieste. Continueranno a prendere pezzi della tua anima. Sei molto più al sicuro con me."
Lei spinse sul suo torace, trovando le mani intrappolate contro il calore della sua pelle. Egli non fece che stringere la presa, mentre il divertimento scaldava il gelo dei suoi occhi. "Non puoi combattermi, piccola."
"Voglio tornare, Mikhail." disse tentando di mantenere la voce sotto controllo. Non era sicura di stare dicendo la verità. Lui la conosceva. Sapeva quello che provava, il prezzo che pagava per il suo dono. L'attrazione tra loro era così forte che riusciva a malapena a pensare.
La casa apparve, oscura, minacciosa, un sconnesso involucro di pietra. Le dita di lei strinsero la sua camicia. Mikhail sapeva che era un gesto inconsapevole. "Sei al sicuro con me, Raven. Non permetterei a nessuno e a niente di farti del male."
Lei deglutì nervosamente mentre lui apriva i pensanti cancelli di ferro e saliva i gradini. "Solo tu."
Egli permise al suo mento di sfiorare la sommità dei suoi capelli setosi, provando una scossa nelle profondità del proprio corpo. "Benvenuta nella mia casa." disse le parole dolcemente, avvolgendola in esse come se fossero la luce del fuoco o quella del sole. Molto lentamente, riluttante, permise ai suoi piedi di toccare la soglia.
Mikhail si sporse da dietro per aprire la porta, e fece un passo indietro. "Entri nella mia casa di tua spontanea volontà?" le chiese formalmente, percorrendole il viso con occhi brucianti, soffermandosi sulla bocca morbida prima di tornare ai grandi occhi blu.
Era spaventata, poteva leggerlo facilmente, una piccola creatura prigioniera che desiderava credergli, eppure incapace di farlo, atterrata, messa in un angolo, ma disposta a lottare fino al suo ultimo respiro. Lei aveva bisogno di lui quasi quanto lui aveva bisogno di lei. Toccò la cornice della porta con un dito. "Se dico di no, mi riporterai alla locanda?"
Perchè voleva restare con lui quando sapeva che era così pericoloso? Non la stava obbligando, aveva troppo talento per non accorgersene. Lui sembrava così solo, così fiero, eppure i suoi occhi bruciavano affamati di bisogno. Non le rispose, non cercò di persuaderla, semplicemente rimase in silenzio, aspettando.
Raven sospirò appena, sapendo di essere sconfitta. Non aveva mai avuto un essere umano con cui sedere e parlare, qualcuno da toccare, senza essere bombardata da pensieri e emozioni. Quello da solo era un tipo di seduzione.
Fece per oltrepassare la soglia. Mikhail le prese un braccio. "Di tua spontanea volontà, dillo."
"Di mia spontanea volontà." fece un passo nella sua casa, le ciglia si abbassarano. Raven si perse la vista della gioia selvaggia che si accese negli oscuri, cesellati lineamenti di lui.
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