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Home | Slightly Dangerous - Capitolo 4

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Slightly Dangerous - Capitolo 4

SLIGHTLY DANGEROUS

Tutti i soggetti descritti nelle storia sono maggiorenni e comunque fittizi. I personaggi e le situazioni presenti nella fanfiction si ispirano a quelli creati da Mary Balogh, che detiene tutti i diritti sull'opera;  questa storia è stata scritta senza alcun fine di lucro e nel rispetto dei rispettivi proprietari e copyright.  

Potete leggere il prologo qui:
PROLOGO

Qui il primo capitolo:
CAPITOLO 1

Qui il secondo:
CAPITOLO 2

Qui il terzo:
CAPITOLO 3 

                                                                                   4

 

La pendola dorata dell’orologio batté le nove. Wulfric sedeva solo nel salottino visone e argento sorseggiando un bicchiere di Porto. Si era rinfrescato, sbarbato e vestito per la cena indossando marsina e pantaloni neri, un panciotto grigio scuro, e una immacolata camicia bianca. Il suo cameriere personale gli aveva annodato con perizia il cache-col, anch’esso bianco e spazzolato la giacca affinché fosse lustra e linda. Lui quindi era disceso di un piano,  lungo  la rampa di marmo delle scale, per cenare nella sala da pranzo della famiglia. Aveva occupato, come sempre, il posto a capotavola e aveva consumato un pasto di cinque portate in totale silenzio, alla presenza del solo maggiordomo e del primo cameriere. Dopo il dessert, si era alzato e si era trasferito nell’adiacente salottino per indulgere a una delle poche passioni che aveva: sorseggiare quel vino liquoroso che proveniva dalla penisola iberica.

Le sedie ai lati del tavolo da pranzo, lungo tre metri e mezzo, erano rimaste vuote  come lo erano divani e poltrone nel salottino, poiché oramai tutti i suoi fratelli e sorelle erano sposati e vivevano lontani con le proprie famiglie. Sarebbero probabilmente venuti a Londra a Natale, al quale peraltro mancavano ancora cinque mesi. O forse no. Morgan era nuovamente in attesa e Freya aveva partorito da poco, quindi poteva ben darsi che non le avrebbe riviste per un anno a meno che non si recasse lui a visitarle. Tutti si erano felicemente sistemati trovando i giusti compagni, anche se all’inizio alcuni non erano stati di suo gradimento. Aveva assolto al suo ruolo di capofamiglia nel migliore dei modi e avrebbe dovuto esserne soddisfatto, anche se ciò significava che ora era lui a non avere più una famiglia. Era contento e scontento al tempo stesso: contento per la loro felicità, scontento per la sua solitudine, una solitudine pesante ora che non c’era più la sua Rose.

Terminò il secondo bicchierino e se ne versò un terzo dalla bottiglia di cristallo. Si portò il vetro alla labbra e chiuse gli occhi. La casa era pressoché muta, i domestici si stavano ritirando e gli unici rumori che si udivano provenivano dall’esterno. Avrebbe potuto uscire ma non sapeva dove andare, era annoiato dalle solite facce, dalle solite feste, dai soliti pettegolezzi e si sentiva mortalmente stanco. Voleva qualcosa che lo entusiasmasse, qualcosa di diverso, qualcosa di pulito. L’immagine di una fiamma ardente gli comparve di fronte agli occhi senza che lo volesse. Benché fossero trascorsi due giorni dall’imbarazzante visita della signorina Pearse, Wulfric non riusciva a togliersela dalla testa. Ma che le era preso? Una giovane come lei, educata e raffinata, come aveva potuto ridursi a proporsi come sua mantenuta, ruolo per il quale era chiaro non possedeva la minima preparazione? Senza contare che aveva rigettato sulle scarpe del povero Tremaine. L’idea delle scarpe inzuppate di vomito del suo segretario lo fece sorridere, il poveretto era un tipo così schifiltoso! Che diavolo sperava di ottenere? All’inizio Wulfric aveva creduto che si trattasse di invidia nei confronti di Rose, con la cui bellezza e grazia non poteva competere, ma onestamente non si sentiva di  accusare la  signorina Pearse di sentimenti così bassi, quando aveva sempre dato prova di estrema lealtà. Lui non era certo taccagno con gli stipendi dei dipendenti, però aveva  anche considerato che potessero farle gola i soldi e l’aveva apertamente provocata al riguardo. La sua risposta lo aveva spiazzato, soprattutto perché gli era parsa sincera. Allora cos’era che l’aveva spinta a svergognarsi così di fronte a lui? Che fosse davvero infatuata di lui? Non era bello come Alleyne, né affascinante come Rannulf, ma alcune lo trovavano attraente al di là del suo titolo. C’era stato un momento, quando si era posata la sua mano sulla guancia e gli aveva mordicchiato il dito, in cui avrebbe giurato di aver sentito del vero desiderio da parte di lei. E per un attimo lui pure lo aveva provato, se doveva essere sincero. Inaspettatamente e incomprensibilmente. Con tutta probabilità era l’astinenza che gli giocava brutti scherzi, gli conveniva accettare quel ridicolo invito in campagna e distrarsi, al ritorno poteva prendere accordi con la signora Kendall, era ricca e vedova e matura: una combinazione perfetta.

Tuttavia, tuttavia, Elizabeth Pearse indugiava nella sua mente, come il sedimento del Porto indugiava sul fondo della bottiglia; la compativa e la ammirava, c’era voluto un grande coraggio per una scialba zitella a proporsi come amante. Eppure, nel momento stesso in cui aveva pensato la parola scialba, si rese immediatamente conto che non riusciva più a vedere la donna come scialba, strana forse, ma non scialba. Come doveva comportarsi con lei? Cinque minuti di riflessione gli portarono la soluzione: doveva trovarle un marito, ecco, le avrebbe tolto la fissazione per lui, se mai era esistita realmente, e le avrebbe reso nel contempo un grande servigio. Ingollò il terzo bicchiere e si alzò soddisfatto per ritirarsi: come era bello sapere sempre qual era la cosa giusta da fare.

Elizabeth giaceva nel suo letto di legno da due giorni; a causa  di un malessere tanto forte quanto misterioso, continuava a rimettere tutto e il medico non sapeva che pesci pigliare. La cuoca, la signora Mullins, la imbottiva di brodo di pollo e focaccine salate dandole grandi pacche sulle spalle, quasi indovinasse la vera ragione della sua malattia e forse era così. Elizabeth era talmente scorata che non le importava se oramai tutti a Monmouth Square sapessero della sua imbarazzante figura a Bedwyn House. Aveva deciso: non si sarebbe alzata per una settimana e poi recuperate la forze ed un briciolo di dignità se ne sarebbe andata, anche se Bewcastle le avesse rifiutato le referenze.

La mattina del quarto giorno, mentre vomitava per l'ennesima volta le focaccine della signora Mullins nel pitale,  la  cameriera del piano, la piccola Jenny, le mise sotto il naso una lettera; a Elizabeth venne quasi un infarto quando la aprì, era una lettera di Sua Signoria e le intimava di preparare i bagagli e farsi trovare pronta da lì a due ore per lasciare la dimora. Nessuna spiegazione, nessun saluto, nessun accenno a una sistemazione futura o a una liquidazione. Solo un ordine perentorio. Elizabeth si rammaricò di non poter svenire e di non essere il tipo da scenate isteriche, perché se c’era mai stato un momento adatto a dar fuori di matto era proprio quello!
Finì di rigettare e chiese a Jenny di aiutarla, doveva preparasi e aveva poco tempo: non gli avrebbe regalato il piacere di vederla supplicare per riavere il suo posto di lavoro e se ne sarebbe andata in silenzio, come aveva vissuto, ma Dio, come avrebbe voluto spaccargli la faccia!

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