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Home | Slightly Dangerous - Capitolo 3

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Slightly Dangerous - Capitolo 3

SLIGHTLY DANGEROUS

Tutti i soggetti descritti nelle storia sono maggiorenni e comunque fittizi. I personaggi e le situazioni presenti nella fanfiction si ispirano a quelli creati da Mary Balogh, che detiene tutti i diritti sull'opera;  questa storia è stata scritta senza alcun fine di lucro e nel rispetto dei rispettivi proprietari e copyright.  

Potete leggere il prologo qui:
PROLOGO

Il primo capitolo qui:
CAPITOLO 1

Il secondo capitolo qui:
CAPITOLO 2

                                                                                             3

 

Elizabeth non riusciva a credere alle proprie orecchie. Il granitico duca di Bedwin, l’uomo che non si scomponeva neppure di fronte alle tempeste e che nulla faceva che non fosse assolutamente e totalmente appropriato, le stava proponendo di prodursi in un qualche tipo di  scandalosa attività sessuale. Nel suo studio. Di mattina.

Elizabeth non sapeva se dovesse essere più sconvolta per l’inattesa richiesta del duca, per il fatto che così le mancasse palesemente di rispetto trattandola come una comune cortigiana o per la constatazione che non sapeva come rispondergli. Come biasimarlo d’altronde, era lei che si stava rendendo ridicola e gli si era offerta come un tortino di manzo al mercato. Idiota, idiota, idiota! Si era cacciata in una situazione insostenibile, ora come avrebbe fatto ad uscirne? Panico, rabbia e disappunto la attraversarono come correnti sovrapposte e contrarie. Vampate gelate e vampate bollenti le percossero la pelle come frustate e lei si ritrovò a fissare gli occhi  di ghiaccio del duca come un’allocca. L’ombra che intravvedeva nelle sue profondità era disprezzo, altezzosità o disgusto? Dio, non voleva saperlo. Contava solo che non gli si fosse mai accostata tanto, né probabilmente l’avrebbe fatto in futuro se non avesse agito alla svelta. E il suo viso, che lei conosceva a memoria in ogni sua ruga e imperfezione, le sembrava meraviglioso: forte, intenso, virile. La sua freddezza l’aveva sempre misteriosamente eccitata e in quel momento bramò mandare in frantumi il suo autocontrollo. Lo voleva e voleva qualcosa da lui che non conosceva se non indirettamente e non sapeva come ottenere. La pelle prese a formicolarle, come se davvero un intero formicaio stesse risalendo dai suoi piedi fino alla testa. Non era una sensazione fastidiosa, tutt’altro. Le rammentava che era viva, che il suo corpo lo era e che era una donna, oltre che una persona. Cercò di recuperare parte della razionalità che l’aveva momentaneamente disertata: come si sarebbe comportata una donna sfacciata e forte, una donna sicura, una donna sensuale, una donna che lei non era?

Spostò lo sguardo dagli occhi argentati, alla bocca  invitante in cerca di un’ispirazione. Quindi scese alla mani: lunghe, eleganti e curate. Mani che la notte sognava la accarezzassero il viso, le spalle, i seni e altri posti che una volta giunta l’alba non avrebbe osato nominare e che la facevano arrossire al solo pensarci. E seppe che era da quell’oggetto del desiderio che doveva iniziare. Si piegò maggiormente sul tavolo e con una mano inguantata prese quella di lui per poggiarsela sulla guancia. Lui non si oppose ma nemmeno partecipò, la lasciò fare.
Lei mosse la guancia contro la sua mano calda e asciutta, una mano senza incertezze come colui a cui apparteneva. Si mosse piano, lentamente, danzando un ballo senza musica ma con un ritmo cadenzato. Il ritmo del desiderio. Poi si portò il palmo alle labbra e iniziò a baciarlo. Piccoli baci, lievi come il tocco di una piuma. Baciò ogni dito, dal pollice al mignolo e dal mignolo al pollice; seguendo un oscuro istinto attirò la punta del pollice tra i denti per mordicchiarlo e di seguito leccarlo leggermente. Lui si irrigidì e ritirò la mano.

Elizabeth non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi e rimase immobile, imbarazzata per le sue azioni e in attesa della condanna che sarebbe certamente calata sul suo capo come una mannaia. Ecco aveva sbagliato tutto, povera illusa! Era solo una zitella inesperta e scialba che al massimo poteva aspirare a sedurre uno degli stallieri meno giovani. Perché diavolo qualcuno, oltre ai manuali sul galateo e l’etichetta, non si cimentava nella stesura di una manuale di seduzione per donne nubili non più giovani,  di buoni natali ma di modeste condizioni economiche?
─ Signorina Pearse mi duole informarvi che non siete qualificata né tantomeno referenziata per la posizione per la quale vi state presentando.
La voce di Bewcastle la schiaffeggiò, tanto che si rimise diritta ed arretrò di alcuni passi col fiato corto. Scappare a gambe levate non era un’opzione, anche se aveva perso tutto le rimaneva un briciolo di dignità, era una signora per nascita e per educazione. 
Tornò a incrociare il suo sguardo. Duro e scontento. Lei era in preda ad un totale sconvolgimento e lui appariva più placido di un lago quando non soffia vento. Se si fosse fatta conquistare dall’ansia che la stava invadendo l’avrebbe perso per sempre, ne era sicura. Wulfric non apprezzava le donne emotive. Come aveva imparato presto. Le rare scenate di Rose lo avevano allontanato per settimane. Tentò di ricomporsi.
─ Mi permetto di dissentire, Vostra Grazia. Questo non è il luogo né l’occasione adatta per saggiare e giudicare le mie capacità. Per quanto in basso io possa essere scesa nella vostra considerazione, proponendomi così apertamente, sono tuttavia una signora e non avvezza a condurmi come una donna di malaffare pronta a compiere atti indecenti con un uomo in pieno giorno nel suo studio. Direi che è stata una proposta che ha fatto poco onore sia  a me che a voi.

Bewcastle che all’inizio del suo discorsetto aveva inarcato un sopracciglio in ducale disapprovazione, le sorrise. Non un sorriso sardonico e reticente, come sua abitudine. Sorrise di un vero sorriso: aperto e completo. Quasi gioioso. Quasi. Bewcastle non conosceva gli scoppi di gioia, ovviamente. Elizabeth sperava di essere la causa di quel barlume di divertimento, ma probabilmente non era così.
Il duca cominciò a tamburellare con le dita sul tavolo, come per riflettere. O per farle perdere la calma.
─ Rilanciate dunque. Confesso che siete una sorpresa signorina Pearse. Non so se in positivo o in negativo, ma comunque una sorpresa. Se non vi frequentassi da anni vi avrei già messa alla porta. ─ Fece un pausa per aggiustarsi la cravatta, che non necessitava affatto di esserlo. ─  Tuttora sono convinto che sarebbe la scelta migliore e la più adeguata. Sì, dopotutto credo che lo farò. Di nuovo buona giornata signorina Pearse.

Elizabeth stavolta accettò la sconfitta, aveva sfidato la sorte e il duca già due volte, una terza avrebbe avuto conseguenza nefaste. La mente inviò agli arti inferiori l’ordine di muoversi, ma questi non obbedirono. Elizabeth insistette fin quando non riuscì a girarsi e dirigersi verso la porta. Mai percorso, per quanto breve, le parve più lungo. Mise la mano sul pomello della porta.
─ Se vi pagassi lo stipendio di una mantenuta per fare la dama di compagnia, insistereste ancora per essere, com’è che l’avete definito? Ah sì: “un caldo rifugio,  un rifugio sicuro, un rifugio disinteressato”?
La voce di Bewcastle era monocorde e annoiata come se stesse leggendo una colonna di cifre sui rendimenti dei mezzadri. Tuttavia l'aveva citata esattamente.
Il cuore di Elizabeth le saltò in gola, bloccandole la mano a mezz’aria. Forse, forse … Rimase di spalle, non azzardandosi a spezzare con un qualsiasi movimento quell’esile filo di speranza.
─ No milord non lo accetterei. Mi fate torto ritenendomi un’avventuriera avida. Io … io vi sono semplicemente devota. Accetterei piuttosto di essere la vostra amante e vivere in un semplice cottage in campagna col minimo indispensabile, che per me comprende i libri per inciso. Non mi interessano né le ricchezze in generale, né le vostre in particolare. Ma queste rimarrano solo chiacchiere se non mi metterete alla prova. Fatelo e sperimenterete la mia onestà.
─ Signorina Pearse, siete più persistente di un mal di testa. Per la terza ed ultima volta, buona giornata.
Il cuore di Elizabeth cadde in un pozzo senza fondo  e lei si mise una mano sullo stomaco che le si era aggrovigliato.

Bewcastle suonò la campanella e subito apparve Tremaine quasi urtandola con la porta nell’aprirla, segni che aveva origliato tutto il tempo. Che verme! Questi si fece da parte per farla passare, ma non appena la affiancò nel corridoio Elizabeth non riuscì più a contenere il malessere e l’angoscia per quell’incontro sfortunato, terminando orribilmente una mattinata già pessima: vomitò bile e tè sulle scarpe dell’odioso segretario. Ah, che  disdetta!

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