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Slightly Dangerous - Capitolo 1
SLIGHTLY DANGEROUS
Tutti i soggetti descritti nelle storia sono maggiorenni e comunque fittizi. I personaggi e le situazioni presenti nella fanfiction si ispirano a quelli creati da Mary Balogh, che detiene tutti i diritti sull'opera; questa storia è stata scritta senza alcun fine di lucro e nel rispetto dei rispettivi proprietari e copyright.
Potete leggere il prologo qui: Prologo
1
Alla fine non era tornato. Come aveva immaginato e come aveva temuto. Erano trascorsi cinque mesi dalla morte di Rose ma il duca di Bewcastle non aveva più messo piede in quella casa. Era andato al funerale della sua amante, sconvolgendo tutti e divenendo il principale argomento di conversazione di tutta la contea, ma non si era più visto a Monmouth Square. Ai domestici aveva fatto sapere che per i seguenti sei mesi sarebbero rimasti lì e che dopo quella data avrebbe loro comunicato un’ eventuale nuova collocazione in un’altra delle magioni dei Bedwyn. Tutti avevano ricevuto istruzioni sul loro futuro tranne lei. Come se Bewcastle non sapesse cosa farsene di lei, o meglio, come se non si ricordasse della sua esistenza. Il suo stipendio continuava a venirle pagato, ma la cuoca l’aiuto cuoca, i due valletti, le tre cameriere, il cocchiere, l’aiuto cocchiere, la governante e il maggiordomo erano stati citati nella missiva dell’assistente del segretario particolare di Sua Grazia, mentre lei no.
Come se non esistesse. Come fosse trasparente. Come fosse un vecchio soprammobile coperto di polvere.
Elizabeth era in parte furiosa in parte amareggiata. Si diceva che in fondo, un uomo come il duca, non poteva né doveva dedicare attenzioni alla servitù soprattutto se, come nel suo caso, era divenuta oramai superflua. D’altra parte era sicura che questa presunta dimenticanza fosse voluta, sia a causa del suo aspetto anonimo che rendeva facile ignorarla, sia perché occuparsi di lei avrebbe significato dover pensare a Rose, in funzione della quale lei era stata assunta e aveva vissuto, e Bewcastle di certo desiderava andare avanti e voltare quella pagina dolorosa.
Elizabeth era rimasta colpita dall’intensità di una sofferenza che non aveva immaginato così profonda. Non che il duca si fosse lasciato andare ad alcuna manifestazione emotiva, però la sua semplice presenza nella piccola e gelida chiesa di Tunnerbrdige, un paese sepolto nella campagna del Gloustershire e lontano dalle strade maestre, era stata una testimonianza sufficiente da non lasciare adito a dubbi. Divisa tra l’esigenza di porgere a Rose l’estremo saluto e l’eccitazione che la presenza di Bewcastle le procurava, Elizabeth ne aveva spiato il volto pallido ed enigmatico per tutta la funzione, percependo un’assoluta attenzione sotto l’apparente distacco. Probabilmente era stata una delle poche persone ad accorgersi di quanto lui fosse disdicevolmente coinvolto da quel funerale, eppure lo aveva ammirato per questa sua devozione, che lo rendeva più umano rispetto alla sua abituale ostentata indifferenza. Allora aveva pianto le lacrime che lui non poteva piangere: per Rose che sarebbe tornata alla terra e non le avrebbe sorriso mai più, per sé stessa e la pena di un amore segreto che non si rassegnava all’estinzione, per Wulfric, come lei sempre lo chiamava, la cui posizione di privilegio in fondo lo allontanava dal mondo, rinchiudendolo in una torre d’avorio quasi impenetrabile. Se solo le sue lacrime avessero potuto fecondare il suolo e portarle il germoglio della speranza...
Aveva sottostimato l’attaccamento che lui aveva portato a Rose e una tale realizzazione l’aveva riempita di scoramento. Conosceva i sentimenti di Rose per lui ed era stata più che convinta che anche il duca non l’avesse amata, ma solo desiderata. Che si fosse sbagliata? Che si fosse illusa per cinque anni, equivocando i segnali inviati da un uomo difficile da leggere quanto la sfinge?
Probabile, anzi possibile. Quindi, forse, i suoi piani non erano altro che un cumulo di sciocchezze, concepite da una sciocca zitella quale lei era; avrebbe fatto meglio ad andarsene immediatamente prima di rendersi oltremodo ridicola e ad abbandonare quei folli sogni. Ma la sola ipotesi di arrendersi la sgomentava, provocandole un’angoscia che in quel momento non poteva permettersi di affrontare. Si era preparata a giocarsi il tutto per tutto e non avrebbe indietreggiato ora, poiché non avrebbe mai avuto altre possibilità e già la vita le era scorsa accanto senza che lei la vivesse pienamente. Perciò continuò a sedere impettita sul divanetto a righe panna e blu nell’anticamera della biblioteca di Sua Signoria, attendendo che lui si la ricevesse.
Era arrivata con ben mezz’ora d’anticipo all’ appuntamento che aveva sollecitato più volte e che era sempre stato rimandato per gli improrogabili impegni del duca. Oramai conosceva a memoria l’ordito del tappeto Aubusson senape, crema e rosa e il disegno a righe trasversali blu e dorate delle quattro poltroncine a medaglione luigi xvi, che assieme ad un basso tavolino di noce costituivano l’arredamento della stanza. Era oltremodo nervosa e l’aver indossato un abito scollato e troppo appariscente la metteva fortemente a disagio. Si sentiva nuda, nel corpo quanto nell’anima, come se Bewcastle avesse potuto immediatamente comprendere i suoi egoistici e poco nobili desideri al solo vederla. Chiuse gli occhi e si portò le mani inguantate alla bocca nel vano tentativo di quietare il tremore che la scuoteva e i brividi che la tormentavano benché fosse luglio. Non era una ragazzina, era una donna e doveva farsi carico del suo destino, nessuno l’avrebbe fatto al suo posto e nessuno l’avrebbe aiutata. La paura era uno stupido impedimento di cui doveva disfarsi all’istante o avrebbe fatto meglio a fuggire per l’ennesima volta e stavolta a sparire definitivamente, dimenticata nel limbo dei fantasmi.
─ Signorina Pearse, se volete seguirmi.
Elizabeth alzò il viso per incontrare lo sguardo seccato del signor Tremaine, il segretario del duca. Era un uomo minuto e magro con un paio di grandi occhiali di metallo, sempre vestito di grigio. Disapprovava il suo aspetto e il fatto che fosse lì, era evidente; il personale di servizio non sollecitava appuntamenti col proprio datore di lavoro, particolarmente se un nobile di tale lignaggio. Elizabeth ricambiò freddamente la sua occhiata, si alzò in piedi e sollevò il mento in segno di sfida. Il signor Tremaine si riteneva superiore a lei in tutto e per tutto, non foss’altro perché era un uomo, e se fosse dipeso da lui l’avrebbe immediatamente rimessa al suo posto. Lei poteva essere molto più intelligente, colta e capace di lui, ma il suo sesso e la sua bassa posizione sociale la ponevano comunque uno o più gradini al di sotto di lui. Cionostante non gli avrebbe dato soddisfazione: non necessitava la sua approvazione per cui il suo tentativo di intimorirla e mortificarla non stava ottenendo successo.
Elizabeth si ripeté che non vi era nulla di straordinario nell’essere a Bedwyn House, era una dimora lussuosa come ne aveva viste altre, magari un poco più lussuosa ed imponente ora che la facciata era stata ridipinta e buona parte degli arredi rinnovati dall’ultima volta che era stata lì, ovvero cinque anni addietro, inoltre conosceva il duca da troppi anni per lasciarsi spaventare da quello sfoggio di ricchezza e magnificenza.
Non aveva altro che la propria forza morale e il proprio coraggio per sostenerla e doveva bastare
Tremaine aprì la porta della biblioteca e la precedette annunciandola al duca, per poi lasciarli soli.
La biblioteca era enorme e luminosa, grazie a tre alte porte-finestre che mitigavano l'effetto cupo dei pannelli di mogano lucidissimo, da cui le pareti erano ricoperte, e di cui era fatta anche la scrivania del duca, il quale vi sedeva dietro come un re sul trono: calmo, potente e remoto.
Elizabeth avrebbe indovinato la sua presenza anche se non lo avesse visto, il suo profumo al bergamotto le raggiunse le narici facendola fremere: ah come lo voleva! Voleva quell’odore su di sé, santo cielo, al solo sentirlo le si contraeva il ventre.
― Vostra Grazia. ─ Dovette sforzarsi di fare la riverenza senza perdere l’equilibrio: le gambe sembravano improvvisamente divenute di gelatina e il cuore le batteva così forte che paventava le sarebbe potuto scoppiare in petto.
Lui stava terminando la lettura di una missiva e non diede segno di averla udita.
Elizabeth si maledisse per la sua audacia, chiaramente il duca non era contento della sua iniziativa e glielo stava facendo intendere, prima facendola aspettare un’ora e adesso fingendo che lei non fosse nella stanza.
Il silenzio si protrasse per quasi dieci imbarazzanti minuti, durante i quali, ovviamente, lei fu costretta a rimanere in piedi a un metro dalla scrivania come una perfetta idiota. Se si fosse trattato di chiunque altro Elizabeth lo avrebbe mandato al diavolo su due piedi, duca o non duca, la prepotenza non la sopportava, ma conoscendo Bewcastle si mostrò pazientissima e quasi sottomessa e focalizzò l’attenzione sull’elegante elegante completo azzurro e tortora di Sua Grazia e sui capelli castani che erano stati tagliati molto corti. In qualche maniera rendevano ancor più virile il suo viso allungato dagli zigomi alti, gli occhi grandi e il naso pronunciato. Rose non lo aveva mai trovato bello ed in effetti, secondo i canoni, non lo era, eppure da lui emanava bellezza: bellezza fisica e bellezza spirituale. Di questo Elizabeth era certa. Lo aveva osservato a lungo e di nascosto e sapeva ciò di cui era capace e ciò di cui non sarebbe mai stato capace.
Finalmente lui sollevò le palpebre e la fissò coi suoi incredibili occhi color argento. Non la invitò a sedersi.
─ Desideravate vedermi, signorina Pearse? ─ le chiese in tono condiscendente
― Sì Vostra Grazia.
─ Ebbene?
Elizabeth deglutì. Gliela stava rendendo difficile. ─ Se me lo permettete, milord, vorrei farvi una proposta circa la mia sistemazione lavorativa.
Il duca congiunse la mani a triangolo sotto il mento. ─ Siete forse insoddisfatta del vostro salario signorina Pearse?
Elizabeth non distolse lo sguardo nemmeno per un attimo ─ Assolutamente no, milord, siete molto generoso. Però il mio incarico, come ben sapete, è terminato e non sono una persona che ami l’ozio né tantomeno venir pagata per non far nulla, quindi, vogliate perdonare il mio ardire, mi proporrei per un incarico totalmente diverso.
Bewcastle inarcò un sopracciglio. ─ Interessante, voi volete indicarmi in quale maniera utilizzarvi. E come dovrei farlo signorina Pearse? Sono davvero curioso di ascoltare la vostra proposta.
Elizabeth sorrise. ─ Milord, io credo che una volta che avrò terminato sarete ben più che curioso.
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