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RECENSIONE AVATAR (2009)
Nel 2154 una compagnia mineraria terrestre sbarca sul pianeta Pandora per sfruttarne i giacimenti del preziosissimo cristallo unobtanio. Gli abitanti del pianeta, i Na’vi, una popolazione primitiva di umanoidi altri tre metri e dalla pelle azzurra, con tanto di coda, si rifiutano di concedere ai terrestri il diritto di trivellare e si oppongono anche violentemente a tutti i tentativi di penetrare nei loro territori. Così la compagnia appronta un programma scientifico in cui da dna Na’vi combinato assieme a dna umano, si ottengono degli Avatar, ovvero umanoidi creati in laboratorio, manovrabili da un conduttore umano, attraverso un’interfaccia mentale. In questo modo sperano di infiltrarsi all’interno delle tribù Na’vi per spiarli e convincerli, con le buone o con le cattive, a lasciar loro la terra. Jack Sully, marine paralizzato, si rivelerà il migliore di questi conduttori, tanto che non solo entrerà in contatto coi Na’vi, ma diverrà un membro della tribù a tutti gli effetti. Ma innamorandosi della bella figlia del capo tribù Nytiri e conoscendo a fondo la popolazione, comprenderà che gli umani sono malvagi e si unirà alla lotta dei nativi per scacciare i terrestri.
Non c’è molto da aggiungere al riassunto della trama, benché il film duri ben centosessantadue minuti, infatti, la storia è tutta qui, con una sceneggiatura talmente povera e imbarazzante, nonché riciclata da Pocahontas e Balla coi lupi, con un pizzico di Alien e Matrix, che sarebbe stata bocciata anche al primo anno di una qualsiasi scuola di cinema. I personaggi sono unidimensionali, la scrittura abbozzata, i buchi logici enormi, tanto che ho sprecato parecchio tempo a far finta che non esistessero, nonostante il regista tentasse di stordirmi con un profluvio di immagini coloratissime, per proseguire con la visione della pellicola. Irritante, inoltre, la contrapposizione manichea tra i buoni Na’vi, perfetti portatori di ogni virtù (anche se a me sono parsi più una comunità hippie degli anni settanta, difatti ce ne fosse uno che lavora) e i cattivi (ovviamente grezzi, stupidi e ignoranti) brutti sporchi e fetenti, che non permette di identificarsi con i presunti eroi, ma anzi produce ancor maggior distanza, se possibile.
Però tutto questo non conta, perché a Cameron, in questo film, non importa un bel niente né dei personaggi né della trama, che sono totalmente secondarie al suo scopo e in alcuni pezzi sembrano addirittura una zavorra per lui. Se superficialmente pare che il regista faccia una dura critica al colonialismo americano e al dissennato sperpero delle risorse del nostro pianeta, cantando nel contempo un’ode alla natura, ingannevolmente dipinta come buona e saggia, in realtà non è così. Questo è solo fumo negli occhi. La vera guerra, per Cameron, è quella tra le vecchie e nuove tecnologie, tra cinema tradizionale e cinema tecnologico, dove è lampante la sua ideologia: il futuro è nelle nuove tecnologie, dove internet, i cellulari, la televisione e il nuovo cinema sempre più digitale, diverranno un unico medium. Come Pandora, in cui tutto e tutti sono interconnessi. Perché questo rappresentano Pandora e Avatar, il trionfo dell’artificioso sul naturale, della tecnica sull’uomo. Esattamente il contrario quindi, di quanto professato nel finale del film. Cameron ci inonda di immagini belle e suggestive, che denotano un enorme sforzo della squadra di computer grafica, come se queste da sole, potessero sostituirsi alla trama ed alle emozioni che i personaggi non sanno darci, ed in alcuni casi funziona, molti spettatori hanno trascorso la visione in un continuo: ohhhh. Purtroppo, tolta la meraviglia iniziale, resta ben poco e pur rimanendo un film godibile, è lontanissimo dal capolavoro. La parte più efficace rimane la battaglia che conclude la pellicola, dove il regista ritrova l’energia e il dinamismo che lo hanno sempre contraddistinto. I posteri ci diranno se i nostri dubbi sono giustificati, ora come ora mi sento di affermare che Avatar non segna un momento di svolta nella storia del cinema, come lo sono stati per esempio Guerre Stellari e Matrix in passato, capaci davvero di rivoluzionare la sintassi cinematografica. Pur essendo una fan dichiarata di James Cameron e concordando che il cinema è soprattutto immagine, non è tuttavia solo immagine e il cuore di ogni storia sono gli uomini, le donne e i loro sentimenti. Altrimenti non è cinema, ma un bel documentario.
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